martedì 20 marzo 2012

sabato 17 marzo 2012

Un semplice strumento per progettare i servizi


Lo sviluppo di un nuovo servizio dovrebbe essere gestito con un processo, simile a quello per lo sviluppo di un nuovo prodotto. Si dovrebbe infatti gestire un "Service Innovation Funnel", simile al Product Innovation Funnel (si veda il post Il governo dell'innovazione).
Nella fase di definizione del servizio può essere utilizzata la Service Blueprint, strumento introdotto per la prima volta da Lynn Shostack nell'articolo "Designing Services That Deliver" apparso sulla Harvard Business Review nel 1984 (non è quindi uno strumento nuovo, ma è molto efficace e nel mondo manifatturiero è ancora poco conosciuto ed utilizzato).
La service blueprint permette di rappresentare il processo che costituisce l'erogazione del servizio, partendo dal punto di vista del cliente e di chi interagisce con lui.
Ci sono ormai molte varianti dello schema per costruire la service blueprint, utilizzabili per diversi tipi di servizi. La figura seguente rappresenta un modello visuale, che oltre ai campi "classici", introduce anche la descrizione delle emozioni del cliente durante l'esperienza del servizio.


Le colonne rappresentano le macro-fasi di esecuzione del servizio (possono essere diverse a seconda del tipo di servizio).
Le righe rappresentano:
  • Cliente (emozioni): le emozioni del cliente (post-it di colore diverso per emozioni positive e negative).
  • Cliente (azioni): le azioni che il cliente effettua per ottenere il servizio.
  • On-stage: le azioni che vengono eseguite da chi sta interagendo direttamente con il cliente e che risultano "visibili" al cliente stesso.
  • Back-stage: le azioni che vengono eseguite in modo non visibile al cliente (potrebbero essere eseguite da chi interagisce con il cliente o da un team di back-office).
  • Evidenza fisica: le eventuali evidenze fisiche (oggetti) che vengono utilizzati nell'interazione ed eventualmente consegnati al cliente.
  • Note: possono comprendere le indicazioni più varie. Spesso nelle note si descrivono le durate temporali indicative o massime della fase, eventuali indicatori da misurare per monitorare la qualità del servizio, ...
Questo poster viene utilizzato nella fase di progettazione del servizio ed è un metodo molto efficace per far collaborare il team multifunzionale che dovrebbe sempre essere coinvolto nella definizione dei servizi.
Una volta completata la fase di progettazione, la blueprint viene trasformata in un documento come quello rappresentato nella figura seguente, che può essere utilizzato ad esempio per la formazione del personale che dovrà erogare il servizio stesso.


Il principale vantaggio della service blueprint consiste nel fatto che la progettazione del servizio viene guidata attraverso l'analisi e la definizione di tutti i dettagli (soprattutto nei servizi, i dettagli possono fare la differenza). Essa è inoltre un efficace strumento per rappresentare in modo sintetico tutte le informazioni sul servizio stesso.

giovedì 15 marzo 2012

Esempi di internet of things

Ecco due interessanti esempi di interconnessione e di internet of things:
- The Wellness Cloud di Technogym (che viene lanciato oggi!)
- The Learning Thermostat di Nest

sabato 10 marzo 2012

Internet of Things: se la lampada parla con la sedia

La rivoluzione è già in corso: ci sono più dispositivi connessi ad internet, che abitanti sulla terra e secondo il rapporto di Cisco: The internet of Things: How the next evolution of internet is changing everything, nel 2015 avremo 20 miliardi di dispositivi connessi (circa 3,5 dispositivi connessi per ogni persona), per arrivare a 50 miliardi di dispositivi nel 2020 (circa 7 dispositivi per persona).
Questo fenomeno prende il nome di Internet of Things perchè connessi ad internet non ci sono soltanto computer, smartphone e tablet, ma anche moltissimi oggetti diversi: automobili, macchine utensili, lampioni stradali, telecamere di sicurezza, condizionatori d'aria, caldaie, ...
Dati i progressi tecnologici e la riduzione dei costi delle tecnologie necessarie, oggi è possibile connettere un prodotto al web con un costo di pochi euro, che presto si ridurrà a pochi centesimi. Questi oggetti fisici acquisiscono un'identità digitale, possiedono un certo grado di intelligenza e possono comunicare con qualsiasi altro oggetto connesso ad internet.
Ad oggi le principali applicazioni dell'Internet delle Cose riguardano i sistemi di controllo remoto (allarmi, gestione accessi, ...), la logistica (trasporto merci e gestione magazzini), lo smart metering (soprattutto elettrico), il monitoraggio remoto (caldaie, macchine utensili, ...), il monitoraggio ambientale ed il controllo del traffico. Altre applicazioni esistono nell'ambito della domotica, delle smart car, del telemonitoraggio dei pazienti o degli anziani, del risparmio energetico. Nuove applicazioni si stanno sviluppando velocemente in molti settori.  
Ci sono ancora problemi tecnologici aperti (alimentazione, miniaturizzazione, utilizzo di standard per la comunicazione, ...) e ci sono diversi paper che descrivono il modello "fisico" dell'Internet of Things. Si vedano ad esempio: il First Reference Model Whitepaper della Internet of Things Initiative oppure The internet of things research roadmap dell'European Research Cluster on the Internet of Things (ma ce ne sono anche molti altri). 
Tutto questo però si focalizza sul "come" costruire la Internet of Things, mentre credo che il primo problema da affrontare sia "perchè" costruirla, ovvero capire se e come questa grande opportunità tecnologica possa creare valore per i nostri clienti.

Per fare questo non è necessario addentrarsi troppo nei dettagli della tecnologia. E' sufficiente sapere che l'Internet delle Cose è formata da:
  • oggetti intelligenti,
  • che conoscono il contesto,
  • che possono comunicare,
  • che possono collegarsi al web per inviare e ricevere informazioni.

La figura seguente rappresenta un modello semplificato dell'architettura dell'Internet delle Cose.



The Internet of Things ha la potenzialità di modificare completamente il modo con il quale i prodotti stessi vengono pensati ed utilizzati.
Facciamo il semplice esempio di una lampada.
Una lampada "normale" viene accesa e spenta dall'utilizzatore, non ha alcun contatto al di fuori dell'ambiente in cui si trova e non gestisce alcun tipo di dato.


Con un costo aggiuntivo che va da pochi centesimi a qualche euro, la lampada potrebbe:
  • avere una propria identità, potendo quindi ricevere informazioni e comandi da remoto,
  • conoscere il proprio stato: accesa/spenta, consumo energetico, ore di utilizzo della lampadina, ...
  • conoscere il contesto: quali persone sono presenti nella stanza, quali altri oggetti sono presenti nella stanza, qual'è il consumo energetico della casa, ...
  • raccogliere informazioni: luminosità della stanza, luminosità esterna, ...
  • elaborare informazioni: qual'è il modo più economico per migliorare la luminosità della stanza,
  • comunicare: chiedere qual'è il costo dell'energia elettrica in quell'istante, ordinare alla finestra di aprire le tende, comunicare il suo stato via web, ...
  • eseguire azioni: ad es. spegnersi automaticamente se non c'è nessuno nella stanza.



Pur senza aggiungere funzionalità di tipo diverso dall'illuminazione (come potrebbe essere per esempio un sensore antincendio), l'Internet delle Cose modifica il significato stesso della lampada: da oggetto che produce luce, ad elemento di un sistema che collabora per raggiungere obiettivi complessi, quali assicurare luminosità adeguata, minimizzare i consumi energetici, prevenire malfunzionamenti, ...

In modo ancora più evidente che per altri tipi di innovazione, nell'Internet delle Cose, è dunque necessario partire dalla comprensione profonda degli obiettivi degli utilizzatori per capire che cosa genera valore per loro. Infatti è vero che le nuove tecnologie permettono alla lampada di parlare con la sedia, ma l'importante è trovare un argomento di conversazione interessante per il padrone di casa!

NOTA: L'architettura dell'Internet of Things è stata definita negli anni '90 da Mark Weiser, nei laboratori Xerox di Palo Alto, che la battezzò "ubiquitous computing" (non avendo a quel tempo compreso appieno l'importanza del web). Per un viaggio nella storia (Weiser è morto nel 1999, ma esiste ancora il suo sito)  si veda questo sito: http://sandbox.parc.com/weiser/.
In questo blog ho parlato di smart products nel post Prodotti intelligenti del gennaio 2009.