domenica 8 dicembre 2013

L'innovazione parte dai clienti

Henry Ford spiegava che se avesse ascoltato i propri clienti non avrebbe prodotto automobili: avrebbe invece cercato di allevare cavalli più veloci. Spesso infatti i clienti non sanno esprimere i loro desideri, nè tantomeno immaginare i prodotti di cui hanno bisogno.

Per avere successo le imprese devono conoscere i propri clienti talmente bene da saperne comprendere ed interpretare i desideri, meglio di quanto sappiano fare loro stessi.
Immaginiamo infatti un’impresa che produce macchine utensili e che vuole mantenere il proprio livello di profitto. I prodotti attuali soddisfano già in modo adeguato i bisogni ed i desideri dei clienti (altrimenti l’impresa sarebbe già fallita). Poiché però i prodotti dei concorrenti evolvono velocemente, è necessario innovare continuamente la gamma prodotti.

Come si può ideare qualcosa di nuovo?

Il primo passo è quello di conoscere meglio i potenziali clienti: tanto più profonda e dettagliata sarà la conoscenza dei clienti, tanto maggiore sarà infatti la possibilità di scoprire bisogni e desideri non ancora completamente soddisfatti.

Approfondendo la conoscenza dei clienti, risulta presto evidente che i clienti non sono tutti uguali. Ci saranno ad esempio clienti che producono in serie grandi lotti ed altri che producono piccoli lotti o addirittura pezzi unici. Le loro esigenze saranno molto diverse: i primi avranno bisogno di velocità nelle operazioni ripetitive, mentre gli altri avranno bisogno di flessibilità. Alcuni clienti opereranno nei paesi occidentali, altri nei paesi emergenti. Le competenze degli operatori saranno probabilmente molto diverse. Con questa analisi abbiamo fatto una segmentazione del mercato basata su parametri demografici (tipo di produzione) e geografici (zona di operazioni). Questa è una segmentazione basata su dati oggettivi e proprio per questo probabilmente tutti i concorrenti ne utilizzeranno una simile. Se la conoscenza dei clienti si ferma qui, risulterà difficile trovare nuove idee ed occasioni per differenziarsi.

Bisogna allora identificare ancora meglio i clienti. Anche nel mercato B2B è dunque conveniente introdurre variabili psicologiche o comportamentali per classificare i diversi tipi di clienti (nel mercato consumer, questo avviene normalmente). Ad esempio alcuni clienti potrebbero essere delle persone ansiose e aver quindi bisogno di conforto e rassicurazione, altri potrebbero invece essere molto attenti al benessere degli operatori e voler quindi rafforzare questo aspetto. Le variabili psicologiche e comportamentali identificano differenze reali, spesso non immediatamente evidenti, ma che hanno un peso significativo nella decisione d’acquisto tra prodotti simili. Per capire quali sono le variabili che caratterizzano i diversi tipi di clienti, è necessario interagire con clienti reali osservandoli ed intervistandoli (senza chiedere loro quali sono i loro bisogni e quali prodotti desidererebbero!).
Le combinazioni di parametri da utilizzare e soprattutto le loro sfumature si moltiplicano rapidamente. Portando all’estremo questa segmentazione, si arriverebbe infatti ad identificare tante classi quanti sono i diversi potenziali clienti. A meno di non lavorare per commessa o di avere un prodotto altamente configurabile, nessuna azienda può permettersi una segmentazione così fine.

L’impresa può allora “scegliere” (=decisione aziendale) i parametri che sembrano più importanti perché più diffusi e/o meno serviti dai prodotti attualmente sul mercato. È utile quindi costruire alcuni “profili” di utilizzatori, che verranno descritti con brevi frasi che ne descrivono la personalità e i comportamenti rispetto ai parametri individuati: ad es. “persona molto ansiosa, perfezionista, timida e sempre preoccupata di fare bella figura…”.

I profili possono essere completati con un nome e cognome, una serie di informazioni anagrafiche e personali e magari anche con una foto. A volte non viene naturale farlo e sembra una forzatura, ma entro breve tempo questi profili finiranno per “incarnare” i bisogni astratti e saranno dunque utili sia per facilitare il coinvolgimento emotivo di chi deve ideare i nuovi prodotti, che per focalizzare l'attenzione dell'azienda sugli utilizzatori, anziché sul prodotto stesso, facendo quindi aumentare la probabilità di ideare prodotti e servizi di successo.

domenica 14 luglio 2013

Sinergie di prodotto


Sinergia deriva dal greco syn- (insieme) ergo (lavorare): collaborare per raggiungere uno scopo. I prodotti ed i servizi che le aziende propongono al mercato possono collaborare, danneggiarsi oppure ignorarsi. Proporre al mercato prodotti che concorrono a soddisfare un insieme di bisogni collegati (ad es. scrivanie, sedie ed armadi per ufficio) permette alle imprese di vendere insieme più prodotti. Al contrario immettere sul mercato prodotti molto simili tra loro, magari con prezzi diversi, può innescare il cosiddetto “cannibalismo”, che avviene quando un prodotto sottrae clienti ad un altro della stessa azienda. Offrire invece prodotti completamente diversi come potrebbero essere biciclette e macchine per la pulizia industriale non otterrà alcun effetto sinergico.
Le imprese dovrebbero quindi considerare i propri prodotti ed i servizi, come un team che collabora per raggiungere un obiettivo comune: la realizzazione della strategia aziendale. 
Ci sono diversi modi per rappresentare la gamma prodotti, ma in molti casi può essere utilizzato un modello a 4 livelli come quello rappresentato in figura:
  • Tipologie: che raggruppano prodotti che soddisfano bisogni diversi e si rivolgono a mercati disgiunti (ad es. chi deve arredare l'ufficio e chi deve arredare l'abitazione, …).
  • Linee di prodotto: all’interno della stessa tipologia, prodotti che soddisfano bisogni collegati o complementari per lo stesso segmento/nicchia di mercato (ad es.ad esempio chi deve arredare l'ufficio ed ama lo stile minimalista, ...).
  • Famiglie (o serie): prodotti che soddisfano un insieme omogeneo di bisogni all'interno dello stesso segmento/nicchia di mercato (ad es. scrivanie, sedie e librerie in stile minimalista).
  • Modelli: i prodotti che vengono venduti ai clienti (ad es. scrivania minimalista in faggio).
E' importante notare che la stessa gamma di prodotti può essere strutturata in più modi diversi, dipendenti dalla strategia aziendale e tutti egualmente utili.
Per massimizzare le sinergie ed ottenere maggiori profitti, la gamma prodotti deve essere sufficientemente ampia, profonda, coerente e bilanciata.

L’ampiezza della gamma prodotti (dimensione orizzontale) è proporzionale al numero di tipologie, linee e famiglie di prodotto e quindi al numero di segmenti di mercato e di bisogni diversi che vengono soddisfatti. Una gamma ampia permette normalmente di raggiungere mercati diversi (ad es. uffici, abitazioni) e di soddisfare un ampio gruppo di bisogni dei clienti (ad es. scrivanie e sedie). Una gamma molto ampia è costosa e difficile da gestire, ma permette di ridurre il rischio d’impresa.

La profondità della gamma prodotti (dimensione verticale) è proporzionale al numero di modelli, cioè ai diversi modi di soddisfare bisogni omogenei. Una gamma prodotti profonda permette di offrire ai clienti una ampia granularità di scelta per ogni tipo di bisogno.

La gamma prodotti è probabilmente lo strumento più importante che le aziende utilizzano per costruire la propria brand identity: Essa deve perciò essere coerente (dal latino: co-haerere, essere attaccato) con la strategia aziendale. La strategia definisce infatti quali sono i segmenti di mercato a cui rivolgersi, in quale modo l’azienda crea valore per quei segmenti e quali sono i principali differenziatori rispetto ai concorrenti. Ci sono diversi modi per ottenere la coerenza della gamma prodotti. Il primo di essi è quello di proporre prodotti adatti ai segmenti di mercato prescelti nella strategia aziendale. È inoltre importante definire quali devono essere gli elementi comuni tra i diversi prodotti. Tali elementi possono essere molto vari: dall’utilizzo di una tecnologia particolare, all’utilizzo di certi materiali, fino a caratteristiche quali la facilità d’uso o l’utilizzo degli stessi canali di distribuzione. Spesso è anche utile definire alcune caratteristiche estetiche che rendano immediatamente riconoscibili i prodotti dell’azienda (family feeling). Una gamma prodotti coerente permette di realizzare al meglio la strategia, ma anche di associare ai prodotti il valore del marchio e di ottenere per questo un premium price. In un circolo virtuoso, una gamma di prodotti coerente contribuisce a sua volta a far crescere il valore del marchio.

La gamma prodotti deve infine essere bilanciata secondo diversi parametri. Innanzitutto deve “coprire” in modo adeguato i diversi segmenti di mercato considerati strategici (più il segmento è importante, meglio deve essere coperto). Deve inoltre garantire e bilanciare il profitto nel breve, nel medio e nel lungo periodo: la gamma deve dunque contenere prodotti e servizi in diversi stadi del loro ciclo di vita, assicurando che in ogni momento ci sia un numero adeguato di prodotti nella fase di maturità (quella in cui i guadagni sono più stabili e più certi).
I rischi nella vita di un’azienda sono molti e la gamma prodotti deve contribuire a bilanciarli contenendo il giusto mix di prodotti con caratteristiche di rischio diverse.
Esistono inoltre fattori interni da considerare e bilanciare: il corretto utilizzo delle competenze, delle risorse, la gestione del processo di sviluppo ed infine gli eventi quali fiere o richieste del mercato, che possono accelerare o ritardare lo sviluppo di alcuni prodotti.

La gestione della gamma prodotti è dunque una disciplina complessa ed in questo campo gli errori sono purtroppo frequenti. Avere una gamma di prodotti ben strutturata è però molto importante perchè permette di aumentare significativamente il profitto e di far crescere il valore del marchio. Quando si decide di iniziare lo sviluppo di un nuovo prodotto, bisogna dunque sempre chiedersi come si inserirà nella gamma prodotti esistente.

domenica 7 luglio 2013

La quadruplice vita dei prodotti




La capacità di produrre oggetti è una delle caratteristiche più importanti dell’uomo. Addirittura alcune ere geologiche hanno preso il loro nome dalla capacità dell’uomo di realizzare oggetti (età della pietra, età del ferro, …).

Nel corso della nostra vita ci circondiamo di oggetti perché ci aiutano a realizzare quello che vogliamo fare: se vogliamo spostarci utilizziamo un’automobile, mentre se vogliamo fare un buco nel muro utilizziamo un trapano. Da questa osservazione Clayton Christensen ha formulato nel 2007 la teoria chiamata “jobs-to-be-done”, secondo la quale per ideare nuovi prodotti è necessario conoscere il “lavoro” che l’utilizzatore vuole eseguire.  Partendo dal lavoro da eseguire è infatti possibile analizzare i parametri che il cliente utilizza per misurare il successo dell’esecuzione (ad es. tempo impiegato, fatica, sicurezza, …) e quindi identificare le funzioni che il prodotto deve realizzare per aiutare l’utilizzatore ad eseguire il compito con successo.
L’aspetto funzionale è molto importante. Costituisce però soltanto la prima vita dei prodotti.

Noi infatti decidiamo di acquistare un prodotto perché “ci serve”, ma scegliamo quello che ci “piace”. Ogni prodotto suscita in noi un impatto emozionale, che influenza le nostre scelte. Pensiamo ad esempio all’acquisto di un paio di scarpe: ne abbiamo “bisogno” per proteggere i piedi e tenerli asciutti, ma scegliamo quelle che ci piacciono di più.
Quando vediamo un oggetto, in pochi decimi di secondo la nostra mente formula una “valutazione emozionale” sulla base di tre categorie principali, che hanno permesso ai nostri antenati di sopravvivere quando vivevano di caccia: mi stupisce o non merita la mia attenzione, è sicuro o pericoloso, mi causerà piacere o dolore.
Questa valutazione avviene in maniera inconscia ed utilizza il sistema limbico, non i circuiti della razionalità: la mente razionale ha bisogno di raccogliere ed analizzare molte informazioni, quindi formula una valutazione più articolata, ma ha bisogno di tempi più lunghi. Per comprendere l’importanza delle emozioni nella scelta di acquisto bisogna anche considerare che la valutazione razionale inizia proprio durante il cosiddetto periodo refrattario (Emotions revealed, Paul Ekman, 2004), durante il quale il nostro cervello è “accecato” dalle emozioni e tende ad ignorare le informazioni in disaccordo con la valutazione emozionale. Se ad esempio un prodotto ci piace molto, tendiamo a minimizzare tutti i “segnali negativi”.
Questa è la seconda vita dei prodotti: il prodotto come fonte di emozioni.

Comunicare è un'esigenza innata dell'uomo e costituisce il fondamento della nostra vita sociale. Noi comunichiamo attraverso simboli a cui viene attribuito un significato (Semiotics for beginners, Daniel Chandler) ed i prodotti di cui ci circondiamo sono simboli che utilizziamo per gestire la rete di relazioni nella nostra società. Pensiamo ad esempio alla corona di un re, che esiste in quanto simbolo del potere. Analogamente l’automobile che acquistiamo non è soltanto un mezzo di trasporto, ma è anche il simbolo del nostro stato sociale.  È dunque importante comprendere il valore simbolico degli oggetti e progettarli in modo coerente: una corona di plastica non ha lo stesso valore simbolico di una d’oro. Questo vale per tutti gli oggetti e costituisce la terza vita dei prodotti.

C’è un ulteriore aspetto, più profondo, legato al valore simbolico dei prodotti: gli oggetti hanno un ruolo importante nella realizzazione del sé. Pensiamo a questo proposito all’importanza di oggetti quali vestiti, profumi ed abitazioni: tendiamo a circondarci di oggetti che ci completano e ci assomigliano. 
Ci sono alcuni studi sociologici che esplorano l’importanza del “significato profondo” degli oggetti. Hannah Arendt (The human condition, 1958) sostiene ad esempio che gli oggetti permettono al nostro io di riconoscersi in loro ed in questo processo gli danno stabilità. Paul Sartre (L'essere e il nulla, 1956) afferma che gli oggetti servono per ampliare il nostro sè e che li comperiamo per autorealizzarci . Mihaly Csikszentmihalyi (The meaning of things, 1981) si spinge addirittura oltre, affermando che noi investiamo la nostra energia psichica negli oggetti che scegliamo ed utilizziamo ed in questo modo essi diventano parte del nostro stesso essere. 
Un’importante conseguenza dell’importanza che attribuiamo al significato profondo dei prodotti è che cerchiamo di acquistare prodotti che siano coerenti con i nostri valori etici: ad esempio attribuiamo più valore ai prodotti biologici o da commercio solidale, rispetto a quelli realizzati in fabbriche anonime, con condizioni di lavoro spesso molto dure.

Le quattro vite dei prodotti possono essere descritte separatamente, ma in realtà sono profondamente interconnesse e concorrono in modo integrato a determinare la valutazione del prodotto da parte dei clienti. È anche importante notare che l’innovazione non deve limitarsi alla sola parte funzionale, ma deve estendersi anche agli aspetti emozionali, simbolici e di significato profondo dei prodotti.

sabato 29 giugno 2013

La razionalità non basta per prendere buone decisioni

La parola scegliere deriva dal latino ex-eligere, cioè “cogliere da”.
Nel corso della nostra vita facciamo continuamente scelte, la maggior parte delle quali sono semplici e vengono gestite dal nostro subconscio o richiedono un livello minimo di attenzione.
Scegliere diventa difficile quando la posta in gioco è alta (ad es. nell’acquisto di una casa), quando si tratta di scegliere tra alternative simili, ma difficilmente confrontabili (è meglio un hotel con le camere grandi o uno più vicino al mare?) oppure quando le informazioni per scegliere sono particolarmente incerte (mi conviene acquistare azioni della Apple o della Fiat?).

Per molto tempo la teoria delle decisioni si è focalizzata sul concetto di massimizzazione dell’utile: si assumeva infatti che le persone prendessero decisioni puramente razionali, volte a trarre il massimo beneficio per sé o per la comunità. Sono stati sviluppati molti algoritmi e metodi analitici per identificare la scelta migliore tra diverse alternative.
Questi metodi però sono difficilmente utilizzabili nella pratica, perché i problemi “veri” sono molto più complessi dei modelli matematici o manageriali che li rappresentano e perché spesso le informazioni disponibili al momento della decisione sono insufficienti o troppo incerte.

Nel corso dell’evoluzione la nostra mente ha sviluppato una capacità inconscia chiamata intuito (dal latino in-tueri, guardare dentro): l’intuito è un processo inconscio che permette di prendere decisioni in tempi rapidi, basandosi su una visione olistica del problema, sull'identificazione di alcuni elementi chiave e sul coinvolgimento emotivo.
Sappiamo infatti che la nostra mente è immersa in un flusso emozionale continuo, che influenza le nostre decisioni. Alcuni semplici esperimenti eseguiti da Kahn e Isen dimostrano ad esempio che le persone con umore positivo sono più aperte a stimoli nuovi e prendono decisioni migliori e più innovative rispetto alle persone con umore neutro o negativo.
Un altro fattore che influenza in modo sottile le decisioni è il cosiddetto effetto “framing” studiato da Tversky e Kahneman con una serie di esperimenti. Il modo di presentare il problema influenza in modo significativo le scelte effettuate perché modifica il modo di percepire i vantaggi e gli svantaggi delle diverse alternative. Un capolavoro dell’effetto framing è secondo me la scena dei funghi fritti fritti fritti nel film La vita è bella di Roberto Benigni.

Le decisioni prese nelle fasi iniziali dell’innovazione (front end of innovation), in particolare quelle relative alla selezione delle idee da sviluppare sono spesso molto difficili: la posta in gioco è alta e le informazioni a disposizione sono generalmente poche ed incerte. In questi casi il puro ragionamento non ci porta molto lontano ed è dunque necessario affidarsi all’intuito.
Questo ovviamente non vuol dire assenza di qualsiasi metodo e decisioni prese senza regole. Per migliorare la qualità delle decisioni di selezione delle idee, è allora utile osservare i seguenti accorgimenti: 
  • Definire dei momenti specifici in cui prendere le decisioni: per evitare la tendenza a “non decidere”, che spesso emerge nel caso di decisioni difficili e che può causare lunghi ritardi nel time to market dei nuovi prodotti. 
  • Definire un team decisionale: sarebbe sbagliato e troppo rischioso affidare decisioni così difficili ad una sola persona. Dovrebbe essere coinvolto un team decisionale formato da esperti con diversi modi di ragionare e con diversi punti di vista. 
  • Creare un’atmosfera positiva: le decisioni migliori vengono prese in condizioni di umore positivo e senza stress. 
  • Formulare il problema in maniera corretta (framing): cercando di presentare in modo neutro ed oggettivo vantaggi e svantaggi delle diverse scelte. 
  • Raccogliere e condividere tutte le informazioni disponibili: decisioni di elevata qualità richiedono una gran quantità di informazioni per poter valutare al meglio le possibili alternative. 
  • Esplorare le diverse alternative: può essere utile "raccontare" diversi scenari che descrivono le possibili alternative, le loro conseguenze ed i relativi livelli di rischio. Questo permette di stimolare sia la parte analitica, che l'intuito dei partecipanti. 
  • Utilizzare mappe o altri metodi visuali per rappresentare il problema e le possibili alternative: la visualizzazione coinvolge infatti circuiti cerebrali diversi da quelli puramente logico-astratti. 
  • Lasciar emergere l’intuito del team: quando i partecipanti avranno avuto il tempo di definire il proprio "orientamento decisionale" è necessario costruire empaticamente il consenso del team sulle decisioni da prendere, evitando il più possibile tutte le distorsioni (derivanti ad esempio da dinamiche di potere).

sabato 22 giugno 2013

La nuvola delle idee: le idee acquistano valore e diventano patrimonio aziendale


Un’idea nella testa di una persona non ha alcun valore.
Le idee, al contrario dei beni fisici, moltiplicano il proprio valore ogni volta che vengono condivise. Questo concetto è espresso molto bene dal famoso aforisma di G.B. Shaw: “Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un'idea, ed io ho un'idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee”.

Per ogni azienda è dunque importante favorire la condivisione delle idee. Le idee possono nascere da qualunque persona ed in qualunque momento ed è tanto banale quanto importante affermare che deve esistere un “posto” dove poterle annotare e condividere in modo semplice ed immediato.

Poichè le idee si sviluppano meglio se vengono confrontate con altre, la condivisione delle idee dovrebbe avvenire il più precocemente possibile. Bisogna però considerare che le prime fasi della vita delle idee non si adattano facilmente alle costrizioni di procedure formali. Ad esempio la richiesta di compilare un documento di descrizione delle idee con numerosi campi, spesso scoraggia sia la presentazione, che la lettura delle idee.  E soprattutto distoglie l’attenzione dagli aspetti più importanti in questa fase iniziale: un’idea appena nata  infatti non si chiede che cosa farà da grande, ma deve soprattutto ricevere un nome evocativo ed esplicativo, che le permetta di essere compresa, riconosciuta e amata.

Il modo più semplice per annotare le idee è probabilmente quello di creare la nuvola delle idee, cioè uno o più cartelloni appesi al muro nei quali le idee possano essere rappresentate mediante il loro nome scritto su un post-it e messe a disposizione di tutti. In questa fase tutto il resto è zavorra, che uccide la creatività.
La nuvola delle idee può essere organizzata per argomenti: ad es. uno spazio per ogni famiglia di prodotti e poi spazi per altri temi caldi (ad es. la ricerca di nuovi mercati).

Una volta raccolte nella nuvola, è necessario che le idee vengano valutate da chi può decidere in che direzione farle evolvere. Anche per questo passaggio è possibile definire delle procedure rigide con workflow ed incontri regolari ad intervalli di tempo prestabiliti, ma spesso risulta più efficace che chi ha generato l’idea ne parli con le persone che ritiene opportune, scegliendo liberamente il momento. Infatti siamo ancora in una fase nella quale gli schemi prestabiliti risultano spesso troppo rigidi e l’informalità è più efficace delle procedure formali.
La nuvola delle idee può essere consultata in modo pianificato in corrispondenza a momenti specifici della vita aziendale, ad esempio quando si devono prendere decisioni riguardo il piano strategico dei prodotti e la preparazione del budget o alla partenza dei nuovi progetti.

Quando un’idea della nuvola viene giudicata interessante e si decide di mandarla avanti, è il momento di descriverla in un documento che potrebbe essere chiamato idea brief.
Alcune aziende sono abituate a fornire a designer esterni indicazioni su quello che vogliono sottoforma di design brief (o product brief). L’idea brief è un documento analogo, che nasce prima del design brief ed ha il duplice obiettivo di descrivere l’idea all’azienda e di indirizzare tutte le future scelte non deterministiche che riguarderanno l’idea.

L’idea brief dovrebbe contenere le seguenti informazioni:
  • descrizione dell’idea: descrizione sintetica dell’idea, possibilmente dal punto di vista dell’utilizzatore,
  • descrizione del problema che l’idea intende risolvere: tutti i prodotti (o le modifiche ai prodotti esistenti) nascono per risolvere un problema ed il primo passo per avere successo è proprio quello di spiegare bene qual è il problema che si intende affrontare,
  • mercato target: identificazione dei segmenti di mercato ai quali potrà essere proposto il prodotto,
  • quali elementi la rendono unica: identificazione degli elementi che rendono l’idea diversa da tutto quello che esiste già sul mercato e le danno quindi motivo di esistere,
  • quali obiettivi aziendali soddisfa: che cosa deve aspettarsi l’azienda da questa idea (ad es. aumento dei volumi di vendita o riduzione dei costi delle garanzie),
  • eventuali annotazioni: per descrivere meglio l’idea o per evidenziare eventuali assunzioni fatte o per mettere in luce alcuni vincoli, ...

La preparazione della nuvola delle idee e la compilazione dell'idea brief sono strumenti molto semplici, che per essere efficaci devono entrare nelle consuetudini aziendali. Nel periodo di avviamento (che può durare alcuni mesi) il loro utilizzo dovrà essere stimolato, chiedendo alle persone ad appendere le proprie idee e di tenere conto nelle loro attività quotidiane delle idee che sono contenute nella nuvola. 

NOTA: È importante prevedere efficaci meccanismi per "fare pulizia" nella nuvola delle idee: non serve a nulla avere centinaia di idee nella nuvola, se poi non si riesce a governarle. Tutte le idee poco importanti o non fattibili vanno dunque eliminate velocemente e senza troppi rimpianti: altre idee arriveranno a prendere il loro posto!

CALL TO ACTION
  • Preparare la nuvola delle idee e chiedere ai collaboratori di appendere le loro idee entro una certa data, nella quale la nuvola delle idee verrà riesaminata da un team per individuare se esistono  idee da sviluppare. Bisogna spiegare ai collaboratori lo scopo della nuvola delle idee e può essere utile anche organizzare alcune sessioni di generazione di idee per iniziare a popolare la nuvola.
  • Scrivere l’idea brief per alcune idee importanti.

sabato 15 giugno 2013

Le idee sono come le farfalle


La parola idea nasce dalla radice greca eid-, che significa vedere.
Molti filosofi e psicologi hanno cercato di definire le idee e di comprendere come nascono. Sono state  sviluppate diverse teorie: dall’esistenza di idee innate (Platone), alle idee come rappresentazione della realtà (Cartesio), fino alle idee come strumento di conoscenza (Steiner). Ad oggi non vi è ancora una teoria universalmente accettata che spieghi come nascono le idee.
Dall’osservazione “sperimentale” credo però che si possa convenire che:
  • le idee nascono spontaneamente nella nostra mente a livello inconscio e poi “appaiono” alla nostra mente conscia
  • la nascita di idee è favorita dalla creazione di collegamenti tra informazioni pre-esistenti (si veda a questo proposito il video Where good ideas come from di Steven Johnson).
Nelle imprese le idee hanno un ciclo di vita simile a quello delle farfalle: nascono bruchi, vengono selezionate, nutrite e poi selezionate nuovamente. Quelle che sopravvivono entrano nel bozzolo dello sviluppo e si trasformano in nuovi prodotti e servizi.

Troppo spesso le aziende dimenticano che le idee sono il carburante dell’innovazione e non si curano di gestirne il ciclo di vita. Questo è molto pericoloso: investire risorse preziose nello sviluppo di idee mediocri è uno dei più gravi errori che le aziende possono fare. Anche perchè paradossalmente la generazione e la selezione delle idee sono attività che costano poco ed hanno invece un’influenza importante e diretta sul profitto aziendale.

Le prime due fasi del ciclo di vita delle idee sono (le fasi successive verranno descritte in altri post):
  • la nascita
  • la condivisione

La nascita delle idee
Nuove idee sbocciano continuamente nella nostra mente, ma il processo di generazione delle idee non può essere forzato ed i suoi risultati non possono essere determinati a priori. In azienda la generazione di idee non può essere imposta ed è dunque il risultato di una collaborazione volontaria tra l’azienda ed i propri collaboratori.
Generare nuove idee è infatti un'attività non "obbligatoria", che comporta un certo rischio di insuccesso e che spesso continua al di fuori dell'orario di lavoro. Per questo motivo la prima cosa che le aziende devono fare per stimolare la generazione di idee è quella di motivare i propri collaboratori, spesso facendo leva su elementi quali la passione, l’autonomia decisionale, il coinvolgimento ed il clima aziendale positivo.
Poichè le idee sono nuovi collegamenti tra informazioni, un’altra cosa che le aziende possono fare è  favorire l’acquisizione e la diffusione di informazioni, che possano arricchire i propri collaboratori ed orientare i temi sui quali generare idee.
La creatività è un fenomeno sociale: in solitudine ogni persona tende a ripercorrere sempre gli stessi percorsi mentali senza arrivare a nuove idee. L’azienda può allora creare occasioni di incontro e confronto per lo sviluppo di nuove idee (anche con persone esterne). In queste occasioni è anche possibile utilizzare metodi per favorire la creatività.
Ognuno di noi deve invece aumentare la propria curiosità, abituarsi a vedere le cose da diversi punti di vista, confrontarsi con altre persone e soprattutto imparare a prestare attenzione ai primi segnali di vita delle nuove idee. Appena nate le idee sono infatti evanescenti e fragilissime: per ucciderle basta la mancanza di attenzione.

La condivisione delle idee
Un’idea nella mente di una persona non ha alcun valore. Le idee acquistano valore quando vengono condivise. Prima però devono superare una selezione da parte di chi le ha pensate. La selezione prevede essenzialmente la risposta a tre domande:
  • è sensata/fattibile?
  • che cosa rischio?
  • che cosa ci guadagno?

Come si può intuire, la risposta a queste domande è influenzata pesantemente dall’ambiente in cui ci si trova. In un’azienda dove molte idee vengono fermate o peggio nemmeno considerate, dove non viene incoraggiata l’esplorazione di nuovi percorsi, molte idee non verranno nemmeno proposte perchè giudicate non fattibili o troppo rischiose da parte di chi le ha pensate. Inoltre se i collaboratori non si sentono coinvolti nel destino dell'azienda, difficilmente vedranno un vantaggio nel proporre le loro idee.

CALL TO ACTION
La scarsa propensione dei collaboratori a generare e condividere nuove idee costituisce spesso una delle più importanti barriere invisibili all'innovazione.
E' importante dunque riflettere sulla propria azienda ed identificare quali sono gli ostacoli che scoraggiano i collaboratori a generare nuove idee ed a condividerle con l’azienda (magari condividendoli qui sotto forma di commenti per aiutare la riflessione di tutti).

sabato 8 giugno 2013

Internet of things: il limite è la fantasia

Un giorno gli oggetti potranno comunicare tra loro. Potranno accedere a miliardi di dati e ad un’intelligenza elaborativa complessa. Un giorno gli oggetti potranno imparare e collaborare tra loro per aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi. Un giorno gli oggetti resteranno in contatto con l’azienda che li ha prodotti per tutta la durata della loro vita.

Quel giorno non è lontano.

Secondo le stime di Cisco, oggi ci sono circa 10 miliardi di oggetti collegati a internet e questo numero aumenterà velocemente fino a raggiungere i 50 miliardi nel 2020. Stiamo parlando di semafori, lampade, caldaie, forni, macchine utensili, automobili, ... ogni oggetto può essere connesso a internet (oggi meno dell'1% degli oggetti è interconnesso).
Questa rivoluzione si chiama Internet of things. Tutti ne saremo coinvolti ed è una delle principali opportunità di business per i prossimi anni (secondo Cisco produrrà 14.400 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni).

Spesso quando si parla di internet of things, il focus è sulle tecnologie, ma questa è un’innovazione technology-push (cioè abilitata dalla tecnologia) e come per tutte le innovazioni di questo tipo, il problema principale non è “come”, ma “perchè”. La tecnologia rende infatti possibile connettere ad internet i prodotti., ma la sfida è quella di utilizzare l'interconnessione creare valore. Il vero limite è dunque la nostra fantasia.

Internet of things sta esplodendo perchè si stanno verificando una serie di condizioni:
  • l'interconnessione degli oggetti è un aspetto del bisogno umano fondamentale di comunicare,
  • le tecnologie abilitanti sono sufficientemente mature ed economiche,
  • esiste un'infrastruttura disponibile (web, reti di comunicazione, cloud computing, smartphone),
  • dal punto di vista culturale, internet è entrata nelle nostre vite.
I prodotti connessi a internet continueranno a fare quello che fanno oggi, ma potranno anche:
  • fornire informazioni: gli oggetti potranno raccogliere informazioni sul funzionamento, sul proprio stato o sull’ambiente circostante ed inviarle dovunque via internet. (Esempio: Sorin - Smartview) ,
  • ricevere informazioni: ogni prodotto potrà avere accesso ad informazioni contenute ovunque e prodotte da qualsiasi fonte (Esempio: WeatherTRAK),
  • imparare: ogni prodotto potrà avere un'applicazione software accessibile via web e che gli permetterà di elaborare molte informazioni e di imparare (Esempio: Nest),
  • essere aggiornati periodicamente: in un mondo in cui l'evoluzione è particolarmente veloce, sarà possibile aggiornare i prodotti già venduti per allungarne la vita o migliorarne le prestazioni (Esempio: Bose - Bluetooth Headset),
  • essere comandati da remoto: gli utilizzatori o i supervisori potranno controllare le diverse funzioni del prodotto da remoto, utilizzando ad esempio uno smartphone  (Esempio: Sorgenia - Mypresa)
  • automatizzare alcuni comportamenti e prendere alcune decisioni: sulla base delle informazioni ottenute dal contesto e mediante la capacità di elaborazione, i prodotti potranno prendere decisioni ed eseguire automaticamente alcune operazioni (Esempio: SmartStart)
  • collaborare in modo intelligente: gli oggetti e gli utilizzatori costituiranno una sorta di rete sociale, nella quale i comportamenti degli uni potranno influenzare i comportamenti degli altri (Esempio: Energy@home).
L'interconnessione dei prodotti non è soltanto l'aggiunta di nuove funzionalità, ma è un nuovo modo di pensare ai prodotti stessi, alla loro esperienza di utilizzo ed alla relazione tra aziende e clienti.
Oggi molte di queste opportunità sono ancora inesplorate e la connessione a internet dei prodotti spesso è considerata poco più di un gadget. Tra qualche anno però molti prodotti saranno connessi ad internet e quelli non connessi perderanno gran parte del loro valore.
È dunque necessario prendere parte a questa rivoluzione e credo che il modo migliore per farlo sia quello di iniziare a pensare che cosa potrebbero fare i nostri prodotti se fossero interconnessi (come sempre il modo migliore per imparare è iniziare a fare).

Di seguito alcuni link a siti interessanti sull'internet of things:

CALL TO ACTION
Il primo piccolo passo potrebbe essere quello di immaginare di aggiungere al proprio prodotto un’antenna che raccoglie e riceve informazioni e che rende possibile l'accesso a internet e ad una capacità di elaborazione dati illimitata.
Si potrebbe quindi rispondere alle domande seguenti ponendosi esclusivamente il problema della creazione di valore per l’utilizzatore (il "come" è un problema successivo):
  • quali informazioni potrebbe raccogliere (dal suo funzionamento, dall’utilizzatore, dal contesto)?
  • quali informazioni potrebbe ricevere?
  • quali informazioni potrebbe elaborare?
  • che aggiornamenti potrebbe ricevere?
  • che cosa potrebbe imparare?
  • quali operazioni potrebbero essere monitorate/comandate da remoto?
  • quali decisioni potrebbe prendere?
  • quali processi potrebbero essere automatizzati?
  • con chi e come potrebbe collaborare?
Se dalle risposte emergono delle opportunità concrete di creazione di valore, è il momento di iniziare a pensare seriamente all’internet of things.

sabato 1 giugno 2013

Il valore sta nelle differenze

In inglese si dice commoditization. Avviene quando i prodotti dei diversi fornitori non hanno differenze significative e vengono scelti principalmente sulla base del prezzo. La commoditization è un processo “naturale”: tutti i prodotti nascono come innovazioni, poi se hanno successo vengono copiati e perfezionati sempre più, fino a divenire simili tra loro. A questo punto tra i produttori si scatena una sanguinosa guerra al ribasso dei prezzi per mantenere o incrementare i volumi di vendita. In questa guerra le piccole e medie imprese dei paesi sviluppati sono destinate inevitabilmente a perdere, non potendo contare su bassi costi di produzione, nè su grandi volumi di vendita, nè su economie di scala.

Il destino di tutte le aziende (in particolare delle PMI) è dunque quello di “essere differenti”.
Nei mercati attuali, saturi di prodotti e di messaggi, essere differenti è necessario anche solo per catturare l’attenzione dei potenziali clienti. 

Come scriveva Levitt nel suo famoso articolo del 1980 (Market success through differentiation of anything), la differenziazione può avvenire sulla base di diversi fattori. Si può infatti individuare un “ciclo” di differenziazione, che parte dall’introduzione di un prodotto innovativo, procede con la differenziazione per mezzo di servizi migliori e si completa con la differenziazione della cosiddetta “brand experience”, che cerca di costruire una relazione emozionale durevole tra i clienti e l’azienda.
Questi 3 fattori di differenziazione si combinano e si completano vicendevolmente: prodotti e servizi contribuiscono a costruire il valore del marchio, così come poi il marchio concorre a far aumentare il valore dei prodotti e dei servizi.

Torneremo a parlare di metodi per differenziare prodotti e servizi. Oggi parleremo invece di come differenziare la propria azienda tramite la brand experience. È importante considerare che la costruzione della brand experience richiede tempi lunghi (anni) e che la brand experience si forma anche se l’azienda non ne è cosciente ed è passiva.
In estrema sintesi la brand experience deve:
  • Generare fiducia: il marchio è una “scorciatoia” che i clienti utilizzano per essere sicuri della qualità ed affidabilità del prodotto (che viene garantita dall'immagine del produttore).
  • Creare e mantenere il legame emotivo: ogni marchio richiama alla mente significati e valori emotivi, che costituiscono un potente ed oscuro fattore di scelta nelle decisioni di acquisto.
  • Essere riconoscibile: la brand experience è un importante elemento di differenziazione, è quindi importante definire e perseguire un “posizionamento strategico” significativamente diverso da quello dei concorrenti.
Dopo aver definito il sogno aziendale, si tratta ora quindi di farlo percepire al mercato come qualcosa di unico. In questo modo il valore dei prodotti e dei servizi verrà "moltiplicato", così come la fedeltà dei clienti. In fondo come diceva Coco Chanel: “Per essere insostituibili, bisogna essere unici”.

CALL TO ACTION
Il posizionamento strategico si ottiene inviando al mercato "messaggi" coerenti per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Questi messaggi sono costituiti innanzitutto dai prodotti e dai servizi, ma anche dal sito web, dalla comunicazione esterna, dal processo di vendita, dalla gestione della relazione con i clienti e da tutto quanto costituisce un'interazione tra azienda e mercato.

Il primo passo per ottenere il posizionamento strategico desiderato è quello di comprendere quali sono i principali fattori di differenziazione importanti per i nostri clienti (ad es. i benefici ricercati, il prezzo, le occasioni d’uso, i valori etici, le caratteristiche fondamentali dei prodotti, ...).
Ad esempio nel settore dei mobili per la casa alcuni fattori importanti potrebbero essere: esclusività, funzionalità, servizio di consegna e montaggio, durata nel tempo, attenzione agli aspetti ecologici, prezzo.

Una volta identificati i fattori di differenziazione, è possibile utilizzare uno schema come quello della figura sottostante, che rappresenta il posizionamento dei principali concorrenti o gruppi di concorrenti. 
Nell’esempio riportato in figura, la linea verde in basso rappresenta il posizionamento dei produttori low cost, mentre la linea nera in alto rappresenta il posizionamento dei produttori top di gamma.

Per definire il posizionamento strategico desiderato della propria azienda può essere utile porsi le seguenti domande:
  • Dove devo eccellere, perchè anche i miei concorrenti lo fanno ed i clienti lo considerano assolutamente irrinunciabile? (nel nostro esempio: funzionalità, durata),
  • Che cosa posso ridurre o eliminare che gli altri fanno? (nel nostro esempio: consegna e montaggio),
  • Che cosa posso fare meglio degli altri? (nel nostro esempio: prezzo, green).
Rispondendo in modo originale a queste domande è possibile costruire un posizionamento strategico originale rispetto a quello dei concorrenti.
Indovinate a chi si riferisce il posizionamento rappresentato dalla linea rossa tratteggiata nel mercato dei mobili?

NOTA: Alcuni dei concetti presentati, sono descritti in maniera più ampia nel libro: "Strategia oceano blu. Vincere senza competere", di Kim Chan e Renèe Mauborgne, un must per chi non l'avesse ancora letto.

sabato 25 maggio 2013

Le aziende nascono dai sogni

Le aziende nascono dai sogni. Ovviamente non stiamo parlando dei sogni che facciamo quando dormiamo, ma di quelli che facciamo ad occhi aperti, quando con la fantasia diamo voce ai nostri desideri più forti e profondi.
Senza i sogni non ci sarebbe nessuna “impresa”. I sogni ci permettono infatti per prima cosa di immaginare i nostri obiettivi (chi ha sogni piccoli non può fare cose grandi!) ed in secondo luogo di attingere ad energie che vanno oltre la parte razionale del nostro essere e che possono coinvolgere e trascinare altre persone. 

Le ragioni che spingono a creare una nuova azienda non sono in fondo molto diverse da quelle che spingono alcuni a scalare l’Everest e altri a fare il giro del mondo in barca a vela. Chi decide di prendere in mano le sorti di un’azienda non lo fa soltanto per il profitto, ma per realizzare qualcosa di grande, bello e giusto. Per le aziende infatti il profitto è come il cibo: è necessario per vivere, ma non è lo scopo ultimo della loro esistenza. 

La forza del sogno deve essere trasmessa a tutti i collaboratori, i fornitori ed i partner. La consapevolezza di contribuire alla realizzazione di qualcosa di importante spinge infatti ognuno di noi a dedicare al lavoro passione ed entusiasmo. Se l’unica motivazione è il raggiungimento di un obiettivo economico, si lavora puntando al minimo indispensabile. Nella realizzazione di un sogno l'atteggiamento è diverso: si punta all’eccellenza. 

Infine la forza del sogno deve essere comunicata ai potenziali clienti, che troveranno così ragioni profonde per preferire un marchio rispetto ad un altro e che potranno anche contribuire in maniera importante alla realizzazione del sogno stesso (si pensi ad esempio all’importanza del passaparola o delle informazioni che i clienti forniscono volontariamente all’azienda).

CALL TO ACTION
Il primo passo pratico per liberare tutta la forza del sogno è quello di descriverlo in poche frasi, che costituiranno la base sia per le scelte strategiche (“fare questo mi aiuta alla realizzazione del sogno oppure no?”), che per la comunicazione. A volte queste frasi vengono chiamate la missione aziendale. 

Non credo sia corretto definire regole precise su come descrivere i sogni, è importante però: 
  • evitare le frasi generiche che non forniscono nessuna informazione utile (ad es. “il nostro obiettivo è soddisfare al meglio i bisogni dei clienti”),
  • parlare di bisogni e non di soluzioni (ad es. non va bene: “vogliamo produrre i macchinari più efficienti per ...”),
  • formulare frasi che abbiano un contenuto emotivo importante, perchè il sogno deve essere una forza che trascina. 

Per non partire dal foglio bianco, è possibile provare a rispondere alle seguenti domande: 
  • che cosa per noi è più importante del denaro? (ovvero: qual’è la ragione di esistere dell’azienda?), 
  • di che cosa il mondo ha bisogno e soltanto noi sappiamo fornire? (ovvero: quali bisogni vogliamo soddisfare?), 
  • quali sono le cose per le quali vogliamo essere riconosciuti (ovvero: quali sono gli elementi caratteristici/distintivi della nostra azienda? 

Descrivere il sogno aziendale in modo sintetico non è assolutamente facile e probabilmente saranno necessarie diverse riformulazioni, ma è uno sforzo che vale la pena di fare per dare una direzione ed una carica di energia all’intero ecosistema che ruota intorno all’azienda. 

Di seguito alcuni esempi di formulazioni di sogni di alcune organizzazioni: 



sabato 18 maggio 2013

Le imprese sono il catalizzatore della crescita


Nei post precedenti abbiamo visto che l’economia dei prossimi decenni dovrà essere caratterizzata da una crescita“intelligente” e sostenibile e che nelle economie mature il motore della crescita è l’innovazione

L'innovazione non nasce per caso: è infatti il frutto di un ecosistema complesso che coinvolge diversi attori.

Il primo protagonista dell’innovazione è il sistema scolastico, che deve preparare i giovani ad essere innovativi. La cultura dell’innovazione non è soltanto conoscenza scientifica, ma anche comprensione dell’uomo e dei suoi bisogni. È inoltre necessario educare i bambini ed i ragazzi ad essere creativi, ad aver fiducia nelle proprie idee, ad impegnarsi con serietà e a perseguire con determinazione le opportunità che i continui cambiamenti ci pongono davanti ogni giorno.

Il secondo protagonista è la ricerca scientifica che deve far progredire la conoscenza e creare nuove opportunità per innovare i prodotti e servizi esistenti o per svilupparne di nuovi. In un sistema di piccole e medie aziende come quello italiano, la ricerca scientifica deve essere portata avanti dallo stato e dalle università. La scarsità di risorse dedicate e la difficoltà di collaborazione tra aziende ed università sono dunque importanti barriere che riducono la capacità di innovare.

Il terzo protagonista è il sistema bancario, che deve essere in grado di riconoscere e finanziare i progetti innovativi. Le banche devono infatti sicuramente puntare al proprio profitto ed alla riduzione dei rischi, ma dovrebbero anche svolgere il loro ruolo fondamentale nella crescita dell’economia reale rendendo disponibili risorse economiche per la realizzazione delle buone idee.

Il quarto protagonista è lo stato, che dovrebbe predisporre condizioni favorevoli all’innovazione. In Italia vi sono invece una serie di barriere che la ostacolano. Tasse, burocrazia e corruzione ad esempio sono zavorre che sottraggono risorse all’innovazione e che penalizzano le aziende italiane quando competono nel mercato globale.

Questi quattro protagonisti svolgono un ruolo fondamentale nell’ecosistema dell’innovazione, ma possono soltanto creare un contesto favorevole. La responsabilità ultima di realizzare l’innovazione è delle imprese, il cui scopo è proprio quello di trasformare idee vincenti in prodotti e servizi che generano crescita.

Le imprese sono dunque il catalizzatore della crescita.

L’Italia è cresciuta molto poco negli ultimi 20 anni e tutti noi dobbiamo impegnarci per migliorare il contesto che favorisce l’innovazione (stato, scuole, ...). Il lavoro da fare in questo campo è talmente grande da risultare quasi opprimente. C'è però anche un altro grave problema: data la situazione economica, le imprese non hanno il tempo di aspettare condizioni migliori. L’innovazione deve essere realizzata “qui ed ora”, altrimenti troppe imprese continueranno a morire.
La necessità di innovare è una responsabilità particolarmente importante per gli imprenditori ed i manager delle piccole e medie imprese, che costituiscono la parte più significativa del tessuto economico italiano e che spesso pensano che l’innovazione sia troppo complessa o non adatta alle loro aziende.
Non è così: tutte le aziende per sopravvivere devono trasformarsi e diventare più innovative. Le condizioni difficili, la mancanza di tempo e di risorse sono ostacoli importanti, ma probabilmente non esistono alternative.
I prossimi post si focalizzeranno dunque su quello che le imprese possono fare per aumentare le proprie capacità di essere innovative, cercando di delineare un percorso fatto di piccoli passi e di strumenti frugali.

sabato 11 maggio 2013

Crescere o de-crescere


Nel suo bellissimo libro “La convergenza inevitabile”, Michael Spence sostiene che non sarà possibile fermare la crescita economica: la maggior parte delle persone sulla terra vive infatti ancora in povertà o in condizioni di sviluppo inadeguate. Grazie alla diffusione delle informazioni, queste persone conoscono lo stile di vita delle economie sviluppate e cercano in tutti i modi di emularlo. Ci sono dunque miliardi di persone che si stanno impegnando con forza per migliorare la propria condizione economica.
E quante delle persone nate in paesi economicamente maturi, sarebbero veramente disposte a ridurre il proprio livello di benessere?
Quindi se da un lato è vero che le risorse sul pianeta terra sono finite e quindi la crescita non può essere infinita, dall’altro lato non c’è alcuna forza oggi che possa invertire la tendenza alla crescita ed avviare la decrescita in modo non traumatico.

Quindi la vera domanda è: che tipo di crescita vogliamo?

Sicuramente non è possibile continuare a crescere mediante la produzione indiscriminata di “oggetti”, che finirebbe per esaurire velocemente le risorse disponibili. La crescita economica deve infatti essere ottenuta nel rispetto delle persone e dell’ambiente e deve essere accompagnata da una altrettanto importante crescita culturale ed etica.

Si possono dunque individuare (almeno) 3 trend generali e globali che sosterranno la crescita dei prossimi anni:
  • Accesso al benessere dei paesi in via di sviluppo: chi abita in questi paesi non ha ancora accesso a quelli che noi consideriamo “beni di prima necessità”. Queste economie continueranno a crescere nel modo classico, cioè assorbendo prodotti. Prodotti che dovranno però essere studiati per utilizzatori con culture ed esigenze diverse dagli utilizzatori delle economie mature e che dovranno essere facili da utilizzare, robusti e costare poco.
  • Ricerca della felicità nelle economie mature: nelle economie sviluppate l’ultimo secolo è stato dedicato alla produzione di “oggetti”, che hanno aumentato il livello di benessere, ma non hanno sicuramente esaurito il bisogno fondamentale di essere felici che contraddistingue tutti gli esseri umani. Non è possibile “comprare” la felicità, però una parte significativa della crescita economica nelle economie sviluppate si baserà sull’aumento del valore emozionale dei prodotti e dei servizi.
  • Sostenibilità: secondo molti modelli di simulazione abbiamo già superato i “limiti dello sviluppo” (si vedano ad es. "2052 Scenari globali per i prossimi 40 anni" di Jorgen Randers e l'inquietante video "Last Call".). Per evitare collassi ed eventi catastrofici, bisognerà trovare soluzioni che permettano di estendere il livello di benessere, riducendo il consumo di risorse. La “moda” del green è dunque in realtà una necessità molto importante, profonda e difficile da realizzare. Probabilmente è la vera grande sfida dei prossimi decenni.
Come si vede i bisogni da soddisfare sono ancora molti e quindi c’è molto spazio per la crescita. Non sarà però più una crescita basata principalmente sulla capacità di produrre oggetti. Per continuare a crescere bisognerà infatti essere in grado di interpretare e soddisfare in maniera diversa i bisogni e desideri fondamentali degli esseri umani e di farlo in modo sostenibile.

Mi piacerebbe aprire un confronto: ci sono altri trend generali e globali che potranno sostenere la crescita nei prossimi decenni?

venerdì 3 maggio 2013

L'innovazione è il motore della crescita economica


L’economia italiana deve crescere, altrimenti non sarà possibile mantenere il livello di benessere a cui siamo stati abituati e sarà molto difficile pagare il nostro enorme debito pubblico.
Nelle economie moderne la crescita si può ottenere soltanto in due modi:
  • aumentando il numero di ore lavorate,
  • creando più valore per ogni ora di lavoro.

Storicamente la crescita economica in uno stato ha inizio quando l’infrastruttura statale (in particolare salute, sicurezza, diritti) ed il livello di istruzione raggiungono un livello di sviluppo adeguato. Questo è quanto è successo nel XIX secolo in Europa e negli Stati Uniti e negli ultimi decenni in Asia (in particolare Cina ed India) ed in alcuni paesi del Sudamerica.
Quando si verificano queste condizioni, si passa da un’economia di sussistenza ad un’economia industriale. Il basso costo della manodopera fa crescere la quantità di lavoro, che nella prima fase di sviluppo è il motore principale della crescita economica.
Con il passare del tempo il benessere economico aumenta ed il costo del lavoro cresce. Si entra così nella seconda fase della crescita e per rimanere competitivi è necessario aumentare la produttività del lavoro e la qualità dei prodotti. Questo è quanto è successo negli ultimi anni del XX secolo alle economie industrializzate: un grande sforzo è stato compiuto per organizzare ed automatizzare la produzione ed aumentare il numero di pezzi prodotti per unità di tempo.
Oggi nelle economie avanzate questo non è più sufficiente perchè siamo entrati nella terza fase della crescita: molti paesi sono in grado di produrre a costi bassi e con ottima qualità e molti mercati sono saturi ed assorbono quindi meno prodotti. L’unica possibilità per continuare a crescere in questa terza fase è quella di innovare i propri prodotti e servizi, differenziandosi dai concorrenti ed evitando così la pura lotta sul prezzo, che erode il profitto e strangola le imprese. In questo modo sarà possibile sia aumentare il valore aggiunto per ogni ora di lavoro, sia aumentare la quantità di lavoro, trovando uno sbocco alla grande quantità di disoccupati.
Per l’Italia il motore della crescita è dunque l’innovazione e questo richiederà profondi cambiamenti in molte imprese italiane, oggi focalizzate principalmente sulla riduzione dei costi e sull’aumento dell’efficienza.

 

mercoledì 3 aprile 2013

giovedì 14 marzo 2013

Decisioni ed emozioni

Per molto tempo si è creduto che le decisioni umane fossero basate principalmente sulla razionalità, tanto che la teoria delle decisioni si basava sul principio dell’utilità attesa, la quale prevede  che il decisore scelga in modo da massimizzare i benefici ottenibili.
Questa teoria ha due grossi difetti di fondo: il primo è che data la miriade di scelte che dobbiamo fare ogni giorno, non abbiamo il tempo di effettuare valutazioni precise (ed allora quasi sempre ci affidiamo a valutazioni euristiche, chiamate “scorciatoie”). Il secondo difetto è ancora più grave: non considera il fatto che la parte razionale e conscia della nostra mente è mescolata ed influenzata in modo inestricabile dalle emozioni e da una serie di fenomeni inconsci (che si collegano ad esempio alle nostre esperienze passate).

Per chi volesse approfondire il tema delle decisioni consiglio la lettura di “Decisioni ed emozioni: come la psicologia spiega il conflitto tra ragione e sentimento” di G. Bellelli e R. Di Schiena.

Quando si parla di nuovi prodotti e servizi, risulta altrettanto evidente che il valore “emotivo” è molto elevato. Un esempio è il seguente: dal punto di vista funzionale una qualsiasi station wagon è sicuramente più “utile” di un’automobile sportiva, che ha prestazioni motoristiche eccezionali, ma pressochè inutili nel traffico quotidiano. Eppure il valore emozionale (ed il prezzo) dell’auto sportiva è generalmente molto più alto. Nel mondo B2B il valore emozionale è altrettanto importante, anche se le emozioni in gioco possono essere diverse. Ad esempio la fiducia acquista maggiore importanza, mentre l’importanza della piacevolezza estetica diminuisce (ma non diventa certamente nulla!).

Troppo spesso quando si progettano nuovi prodotti o servizi ci si concentra soltanto sull’aspetto funzionale e sui costi, trascurando altri fattori di fondamentale importanza. Ho provato allora a riassumere nella figura seguente i diversi punti di vista che devono essere considerati quando si definisce un nuovo prodotto o servizio.
Ecco una breve descrizione dei diversi punti di vista:
  • Spazio funzionale: prodotti e servizi vengono acquistati perchè rendono più semplice per l’utilizzatore raggiungere i propri obiettivi. La domanda fondamentale a cui rispondere è: “Mi serve?”. Per approfondire: "What customers want: using outcome-driven innovation to create breaktrough products and services" A. Ulwick.
  • Spazio emozionale: la decisione di acquistare un prodotto richiede un coinvolgimento emozionale positivo. La domanda findamentale è dunque: “Mi piace?”. Per approfondire: "Emotional Design: why we love (or hate) everyday things" D. Norman.
  • Spazio semantico: come dimostrano molti studi sul design, i prodotti hanno un significato simbolico, che viene influenzato da diversi fattori (esperienze personali, cultura , contesto, ...) e che gioca un ruolo importante nella scelta. Ad esempio una Mercedes ha tutti i significati di un’automobile generica (viaggiare, libertà, ...), ma scegliere una Mercedes significa anche ricercare qualcosa di elegante, prestigioso ed affidabile. La domanda fondamentale dello spazio semantico è: “Che cosa significa per me?". Per approfondire: "Design driven innovation: cambiare le regole della competizione innovando radicalmente il significato dei prodotti e dei servizi" D. Verganti.
  • Spazio del valore economico: la decisione di acquistare un prodotto o un servizio viene influenzata in modo importante dal valore economico richiesto per l’acquisto. Tale valore deve essere proporzionato sia al “valore” attribuito dall’utilizzatore al prodotto stesso, sia alla disponibilità di denaro dell’utilizzatore. La domanda fondamentale è: “Me lo posso permettere?”. Per approfondire: "The strategy and tactica of pricing: a guide to growing more profitably" di T. Nagle - J. Hogan - J. Zale.
Esistono (almeno) altri due fattori importanti che influenzano la decisione di acquisto, che però non vengono influenzati direttamente dal prodotto o servizio proposto:
  • Il livello di rischio percepito dal compratore: acquistare un prodotto o servizio significa introdurre un cambiamento nella propria vita. La nostra mente naturalmente valuta quindi il rischio di pentirsi della scelta fatta (regret). Questo aspetto viene influenzato da diversi fattori, quali il brand del fornitore, il processo di vendita (ad es. lasciare il prodotto in prova) ed il tipo di “contratto” proposto (ad es. la possibilità di restituire l’oggetto).
  • Emozioni incidentali: le decisioni sono inoltre influenzate dalle emozioni pre-esistenti nell’acquirente, ma non correlate con il processo decisionale. Ad esempio l’umore “positivo” può favorire scelte più originali e/o rischiose, mentre l’umore “negativo” tende ad inibire qualsiasi decisione. È molto difficile influenzare le emozioni incidentali, però un buon processo di vendita dovrebbe cercare innanzitutto di mettere a proprio agio e di buon umore il potenziale acquirente.
Come si vede le decisioni d’acquisto di un nuovo prodotto o servizio sono determinate da una molteplicità di fattori, difficilmente separabili tra loro. Risulta però chiaro che ideare nuovi prodotti o servizi concentrandosi soltanto sugli aspetti funzionali ed economici, non è sufficiente per sviluppare prodotti e servizi vincenti.

lunedì 4 febbraio 2013

Oggi si cresce innovando, non imitando

Molto interessante (soprattutto per l'autorevolezza della fonte) l'editoriale "Troppe illusioni sull'innovazione" del Corriere della Sera di Alesina e Giavazzi sull'innovazione.