sabato 23 aprile 2011

Importanza della Innovation Experience

Riprendiamo il discorso sulla Innovation Experience iniziato qui.

Quasi tutte le aziende sono consce della necessità di innovare, ma alcune sono in grado di farlo bene, mentre altre no. Io credo che il fattore differenziante stia nella esperienza di innovazione accumulata dalle diverse aziende.

Esperienza, esperto ed esperimento sono vocaboli che derivano dalla parola latina experire, formata del prefisso "ex"=fuori e dalla radice "per"=prova. L'esperienza è quindi il risultato di una prova.

L'importanza dell'esperienza può essere descritta utilizzando un'analogia presa dal mondo dello sport. Se un corridore vuole vincere una maratona, non gli sarà certo sufficiente sedersi alla sua scrivania, studiare le migliori tabelle di allenamento e le migliori strategie di gara.

Dovrà invece iniziare ad allenarsi e percorrere con tenacia e pazienza molti chilometri.

Ma anche questo non sarà sufficiente: probabilmente non riuscirà a vincere la prima maratona a cui parteciperà, perchè per poter esprimere al meglio tutte le proprie capacità, dovrà aver sviluppato anche l'esperienza di competizione.

Per come funziona il nostro cervello infatti, la capacità di fare bene qualcosa può essere ottenuta soltanto mediante l'esperienza, cioè il coinvolgimento e la "esposizione" (exposure) diretta a certi eventi. Dopo aver vissuto un evento il nostro cervello, continua infatti a rielaborare, anche in modo inconscio, le informazioni acquisite, costruendo quella conoscenza pratica che ci rende "esperti" di qualcosa.

Come sanno gli allenatori sportivi, questo meccanismo funziona non solo per le persone, ma anche per i team, che per vincere devono costruire e migliorare la propria esperienza.
Allo stesso modo anche le aziende per migliorare le prestazioni dell'innovazione devono quindi migliorare la propria innovation experience, che deriva dal coinvolgimento e dall'esposizione sistematica ad eventi che permettono di "realizzare" l'innovazione.

La innovation experience di ogni azienda ha le seguenti caratteristiche:
  • si è formata nel tempo,
  • risiede nella mente delle persone, nei processi e nella cultura aziendale,
  • continua a modificarsi,
  • è unica, non ripetibile, nè esportabile,
  • non può essere modificata istantaneamente.
La innovation experience si realizza in ogni momento, ma se non è ben guidata, il miglioramento delle prestazioni avviene molto lentamente, quasi per caso. Pensiamo infatti ancora ad un'analogia sportiva: per allenare una squadra di calcio non è sufficiente farla sempre e soltanto giocare: è necessario un programma di allenamento vario, mirato e progressivo.

Allo stesso modo anche il miglioramento dell'Innovation Experience dovrebbe seguire un programma di allenamento specifico che preveda l'esecuzione di una serie di piccoli passi nella giusta direzione.
Poichè stiamo parlando di esperienza, è importante considerare con la giusta attenzione il concetto di "esperimento" o "prova": spesso infatti un piccolo esperimento è più efficace di lunghi studi e discussioni alla ricerca della soluzione perfetta (a volte "il meglio è nemico del bene").

Nel prossimo post parleremo di alcune caratteristiche importanti dell'allenamento per migliorare la innovation experience.

sabato 9 aprile 2011

Architettura modulare: più varietà e meno costi

Diversi studi confermano che la quantità di prodotti personalizzati (o speciali) è in crescita rispetto ai prodotti "standard".
Questo è dovuto in generale all'inasprirsi della competizione, che spinge le aziende a fare sempre di più e meglio per soddisfare i bisogni ed i desideri di ogni singolo cliente. La crisi degli ultimi anni ha quindi ulteriormente favorito questa tendenza.
Purtroppo realizzare prodotti personalizzati (o speciali) causa una grossa perdita di efficienza alle aziende e questo è in contrasto con l'altro grande imperativo di questi anni, cioè ridurre i costi per poter realizzare prodotti competitivi e che si possano vendere anche nei paesi in via di sviluppo.
La figura seguente mostra quanto profondamente i prodotti speciali impattino nei processi aziendali, evidenziando anche un ulteriore effetto negativo: il crescente impegno richiesto dai prodotti speciali alla progettazione, evidentemente va a sottrarre tempo e risorse allo sviluppo dei nuovi prodotti, rallentando quindi l'innovazione.


L'unico modo per aumentare la varietà proposta al mercato (varietà buona), senza far esplodere la varietà interna (varietà cattiva), è quello di rendere modulare l'architettura dei prodotti.

Architettura modulare significa che esistono dei "mattoncini" che possono essere combinati tra loro in molti modi per realizzare prodotti finiti diversi. L'esempio migliore di architettura modulare è quello della Lego, che nel 1949 lanciò sul mercato gli "automatic binding bricks", cioè i famosi mattoncini che possono essere utilizzati per costruire moltissimi oggetti diversi e che ancora oggi a più di 60 anni di distanza sono attuali e capaci di generare profitto.

In questo post vorrei riflettere sulla necessità per le aziende di progredire continuamente verso una modularità sempre più spinta e sugli impatti a diversi livelli che derivano dall'introduzione dell'architettura modulare al proprio portafoglio prodotti.

L'architettura modulare sembra essere l'evoluzione naturale di molti tipi di prodotti e questo accade perchè la modularità porta benefici innanzitutto ai clienti. Pensiamo ad esempio alla bicicletta, che oggi è un prodotto modulare ed aperto: io posso infatti scegliere i componenti che preferisco acquistandoli dai migliori produttori al mondo e realizzare a costi ragionevoli la "mia" bicicletta, diversa da tutte le altre biciclette esistenti al mondo. Chi non vorrebbe questa possibilità per le automobili, gli elettrodomestici e tutti gli altri prodotti?
Il mercato spinge quindi in direzione della modularità e le aziende devono pertanto essere in grado di prevedere e prevenire questi cambiamenti.

Nel cammino verso l'architettura modulare, si possono identificare 4 livelli di "modularità", caratterizzati dal fatto che il passaggio da un livello a quello successivo richiede una certa discontinuità:
  1. Nessuna modularità: l'azienda progetta e propone sul mercato prodotti chiusi, ognuno diverso dall'altro anche per quanto riguarda l'architettura interna,
  2. Modularità interna: l'azienda propone al mercato prodotti non configurabili, però identifica e gestisce alcuni moduli standard che vengono riutilizzati su più prodotti (ad es. lo stesso motore elettrico o la stessa impugnatura su una famiglia di utensili elettrici),
  3. Modularità esterna: dopo aver introdotto l'architettura modulare, l'azienda permette ai propri clienti di configurare i prodotti durante il processo di acquisto (questo ad es. avviene per l'acquisto di un computer o di un'automobile),
  4. Modularità aperta: l'azienda produce piattaforme aperte, con interfacce standard che possono essere utilizzate per realizzare prodotti finiti combinandosi anche con prodotti di altri fornitori (ad es. la bicicletta).
L'introduzione della modularità interna è volta soprattutto a cogliere benefici per l'azienda in termini di riduzione dei costi di prodotto. Un altro effetto positivo è la maggior facilità di evoluzione delle famiglie di prodotti. Con l'architettura modulare è infatti possibile far evolvere ogni modulo in maniera autonoma, limitando significativamente tempi e costi dell'innovazione (e anche delle modifiche).
L'introduzione della modularità interna può avvenire per piccoli passi ed è innanzitutto una forma mentale della progettazione, che quando realizza qualcosa di nuovo, fin dall'inizio lo pensa per poter essere utilizzato su più prodotti. E' comunque necessario un progressivo adeguamento sia della struttura della documentazione di prodotto (ad es. disegni organizzati per moduli e non per l'intero prodotto), che del processo produttivo (i moduli vengono infatti costruiti in modo autonomo e poi "assemblati" nel prodotto finito).

L'introduzione della modularità esterna, cioè di prodotti configurabili, ha invece impatti soprattutto sul processo di vendita e sulla successiva gestione dell'ordine cliente. Rendere configurabili i prodotti permette infatti di ampliare enormemente la propria gamma prodotti, fino ad ottenere l'effetto iceberg rovesciato rappresentato nella figura sottostante.


Il problema è allora quello di "portare" tutta questa varietà fino al cliente, mettendolo in grado di scegliere il prodotto migliore in modo sufficientemente semplice. Diventa quindi necessario progettare il "dialogo commerciale", cioè la sequenza di scelte che verrà proposta al cliente per configurare il prodotto. Gli obiettivi in questo caso sono due:
  1. guidare il cliente in un processo di configurazione semplice,
  2. ottenere configurazioni valide (ad es. configurando un'automobile non deve essere possibile avere contemporaneamente cambio automatico e cambio manuale).
E' inoltre necessario fornire al cliente strumenti adeguati per creare le configurazioni di prodotto (generalmente chiamati configuratori commerciali di prodotto).
Un altro impatto non trascurabile della modularità esterna deriva dal fatto che ogni ordine configurato è diverso da tutti gli altri e questo richiede l'adeguamento della supply chain, che deve funzionare secondo questa nuova logica.

La modularità aperta, tipica dei prodotti maturi, nasce quando cominciano a diffondersi regole di interfaccia che permettono di utilizzare gli stessi componenti su prodotti realizzati da aziende diverse. Le aziende allora devono modificare l'architettura dei propri prodotti per adeguarsi ai nuovi standard, ma soprattutto alcune aziende si specializzeranno esclusivamente nella produzione di componenti, divenendo presto molto competitive nel loro settore e rendendo impossibile per i produttori "generalisti", utilizzare i propri componenti. Questo è già avvenuto ad esempio nel settore della bicicletta dove i principali moduli (ad es. telaio, cambio, freni, ...) sono spesso realizzati da fornitori diversi da chi assembla la bicicletta.

Poichè l'evoluzione verso l'architettura modulare sempre più spinta è un trend ineludibile per molti prodotti e poichè i suoi impatti sono così profondi e richiedono tempi lunghi, io credo che ogni azienda dovrebbe affrontare fin da subito questo tema, sia per coglierne al più presto tutti i vantaggi, sia soprattutto per non trovarsi impreparata nei confronti delle inevitabili mosse dei concorrenti.

sabato 2 aprile 2011

Perchè alcune aziende sono in grado di innovare ed altre no?

Questa è una domanda che mi pongo spesso quando confronto tra loro i comportamenti e le prestazioni di aziende diverse. Si vede infatti che alcune aziende sono in grado di rinnovarsi adattando se stesse ed il loro portafoglio prodotti alle sempre mutevoli condizioni di mercato, mentre altre sembrano prigioniere del loro stato attuale. E non è sempre facile capire quali sono i fattori che determinano queste differenze. La capacità di innovare non dipende infatti nè dalle dimensioni, nè dai settori di mercato, nè da altre caratteristiche "anagrafiche" delle aziende.

Sono quindi interessanti i risultati di una ricerca della Accept Corporation (bisogna registrarsi per avere l'accesso) presentati su Business Week da Christine Crandell, che cerca di individuare quali sono i fattori che distinguono le aziende in grado di innovare dalle altre.

Secondo questa ricerca i fattori che contraddistinguono le aziende che hanno buone prestazioni dell'innovazione sono:
  • Capacità di bilanciare gli investimenti tra i diversi tipi di innovazione: non sembra infatti corretto limitarsi alla sola innovazione incrementale del portafoglio prodotti, perchè questo significa operare in segmenti di mercato in cui la competizione è inevitabilmente crescente, mentre il mercato si fa via via più saturo, quindi sempre meno interessante.
  • Capacità di assegnare le giuste priorità ai progetti: se tutti i progetti sono considerati molto importanti, l'effetto pratico è che nessuno sarà veramente prioritario e probabilmente il funnel di sviluppo sarà troppo affollato, causando un allungamento generalizzato del time-to-market.
  • Analizzare il mercato: uno dei rischi principali dell'innovazione è che i clienti non acquistino il nuovo prodotto. Per evitare questo rischio l'azienda deve analizzare costantemente il mercato ed il prodotto ed eliminare al più presto dal funnel di sviluppo i progetti che non siano graditi dal mercato.
Le aziende che invece hanno basse prestazioni nell'innovazione sono caratterizzate da:
  • scarsa capacità di ascoltare le voci provenienti dall'esterno,
  • scarsa capacità di collaborazione e scambio di informazioni tra i diversi attori,
  • incertezza sulle decisioni da prendere, su chi deve prenderle e quando,
  • scarsa efficacia ed efficienza del processo di sviluppo dei nuovi prodotti.
Credo che questi risultati non stupiscano ormai nessuno: questa ricerca conferma infatti alcuni fattori critici di successo noti ormai da molti anni.
La vera domanda quindi secondo me è: perchè alcune aziende pur sapendo quali sono i fattori critici di successo per l'innovazione non li applicano, ottenendo quindi prestazioni non soddisfacenti?

La risposta è che (come nella vita) non è sufficiente "sapere" quali sono le best practices: è necessario farne esperienza diretta. Alcune aziende sono infatti riuscite negli anni a costruire una propria "innovation experience", che permette loro di essere flessibili e di innovare, mentre altre, per i più disparati motivi, non hanno sviluppato questa capacità ed oggi si trovano in difficoltà.
Nei prossimi post analizzeremo da che cosa è formata l'innovation experience e come si può farla crescere.