domenica 10 giugno 2018

Il mercato liquido: 9 parole chiave

"Una società può essere definita "liquido moderna" se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure.” (Zygmunt Bauman - La vita liquida - 2005)

Il sociologo Zygmunt Bauman usa la metafora della liquidità per analizzare i modi di sentire e di agire della società contemporanea. Nel mondo solido esistono ruoli definiti, confini, conoscenze codificate e punti di riferimento stabili. Nel mondo liquido invece tutto cambia velocemente, le certezze si sgretolano e le tradizioni scompaiono. Nulla può essere dato per scontato ed ogni persona deve definire autonomamente il proprio ruolo in una società che cambia.

Come la società, anche il mercato è liquido e le imprese, per riuscire a creare valore, devono a loro volta diventare liquide. La liquidità diventa dunque una chiave di lettura ed al tempo stesso una linea guida per l’evoluzione delle imprese.

Vorrei provare a descrivere il mercato liquido mediante 9 parole chiave, che non possono essere ignorate dalle imprese che cercano di costruire una visione del futuro.

Velocità
Nel mondo liquido tutto scorre con estrema velocità. I bisogni, i desideri, i valori ed i comportamenti dei nostri clienti mutano costantemente. Il ciclo di vita dei prodotti e dei servizi si riduce pertanto sempre di più e l’innovazione di prodotto diventa indispensabile per generare profitto.

La velocità del cambiamento può essere spiegata con il cosiddetto “Effetto Medici”. Sembra infatti che una delle cause del Rinascimento italiano sia stato l’incontro di numerose menti brillanti appartenenti a diverse discipline (pittori, avvocati, scienziati, banchieri, …), riunite a Firenze dalla famiglia Medici. L’interazione tra queste persone ha portato ad un’esplosione di idee, che ha poi dato vita ad un periodo di cambiamenti in campo artistico, scientifico e tecnologico.
Oggi il web permette non solo di “far incontrare” le migliori menti del mondo, ma anche di diffondere le nuove idee ad una velocità mai vista. Siamo quindi nel pieno di un effetto Medici globale e tutto lascia supporre che la velocità del cambiamento continuerà ad aumentare nei prossimi anni.

Incertezza
La velocità del cambiamento rende liquido ogni punto di riferimento. Nuove professioni, nuove regole del gioco, nuovi ruoli e nuovi bisogni nascono continuamente. Il presente diventa quindi confuso e difficile da interpretare, mentre il futuro diventa incerto e difficile da immaginare. 
Questa incertezza genera ansia e focalizzazione dei clienti sul “qui ed ora”. Questo si traduce in un continuo senso di urgenza, che innesca un circolo vizioso di ulteriore ansia ed incertezza. Le imprese devono dunque imparare a generare profitto in un mondo incerto, ansioso ed in continua emergenza.

Informazioni
L’IoT sta producendo quantità di dati inimmaginabili: si stima che nel 2020 verrà generato l’equivalente di 1,7 MB di dati al secondo per ogni persona che esiste sulla terra. Questi dati riguardano ambiti molto diversi: dai like su Facebook, alle modalità di funzionamento di una macchina utensile. Molti di questi dati sono in qualche cloud e quindi potenzialmente disponibili per essere condivisi, analizzati ed incrociati. Per le imprese i principali effetti di questa abbondanza di dati sono una sempre miglior conoscenza dei clienti e la possibilità di utilizzare sistemi di intelligenza artificiale che saranno in grado di imparare sempre più velocemente.

Valore intangibile
Il consumatore può spesso soddisfare i propri bisogni con un’ampia scelta di prodotti e servizi che svolgono le funzioni richieste e che sono disponibili a prezzi molto diversi. Nelle decisioni d’acquisto diventa allora fondamentale il valore intangibile, cioè il valore che ogni singolo cliente proietta sul prodotto. Aspetti emozionali, differenze sottili e valori etici diventano dunque elementi chiave della value proposition dei prodotti.

Sostenibilità
Più della metà della popolazione mondiale vive con un reddito insufficiente a garantire l’accesso ai servizi essenziali (fonte Oxfam). La vera sfida dei prossimi anni è dunque quella di garantire una qualità della vita adeguata ad un numero sempre crescente di persone, senza esaurire le risorse del pianeta.

Software
Un’automobile oggi ha in media 100 milioni di linee di codice, le auto a guida autonoma ne avranno almeno 4-5 volte tanto. In tutti i settori una parte sempre più importante del valore dei prodotti viene realizzata mediante applicativi software, che permettono di eseguire funzioni complesse. In molti settori il software diventa dunque l’elemento principale, mentre il prodotto fisico diventa la piattaforma che ne permette il funzionamento. Pensiamo ad esempio alle auto a guida autonoma: la scelta dell'automobile sarà probabilmente subordinata (o almeno influenzata) dalla scelta del software di guida autonoma.

Personalizzabilità
La saturazione di molti mercati e l’elevata competizione portano le imprese a spingersi sempre più verso la personalizzazione dei prodotti, per soddisfare nel miglior modo possibile i bisogni ed i desideri ogni singolo cliente. Software ed architetture modulari permettono la realizzazione di prodotti configurabili, che potranno adattarsi alle esigenze dei clienti anche dopo l’acquisto.

Coinvolgimento
Prima dell’IoT, molte imprese non erano coinvolte nell’utilizzo dei loro prodotti da parte dei clienti, spesso addirittura non sapevano nemmeno chi fosse il cliente finale dei loro prodotti. Oggi invece i prodotti generano e ricevono informazioni dal produttore lungo l’intero ciclo di vita. La relazione con il cliente dunque si approfondisce e dura nel tempo. Questo permette di conoscere meglio i clienti, di fornire loro servizi durante l’utilizzo del prodotto e di modificare i modelli di business (introducendo ad esempio forme di pagamento di tipo pay-per-use).

Apertura
La complessità del mercato e dei prodotti e la velocità dell’innovazione porta alla necessità di reperire risorse e conoscenze anche al di fuori dei confini aziendali. Diventa dunque sempre più frequente il ricorso a partner esterni, che collaborano alle diverse fasi di sviluppo dei nuovi prodotti, condividendo investimenti, rischi e profitti. 

Credo che queste parole chiave possano essere spunti di riflessione per le imprese che vogliono costruire una visione del futuro, necessaria per guidare il cambiamento e le decisioni strategiche riguardanti i nuovi prodotti e servizi da sviluppare.

mercoledì 10 gennaio 2018

Una definizione operativa di prodotto intelligente

Un prodotto intelligente è un agente che tenta di raggiungere un obiettivo in un ambiente che non conosce e che non può controllare completamente. Un prodotto intelligente raccoglie informazioni, costruisce un modello, valuta diverse opzioni e poi agisce. Infine impara misurando i risultati di ogni azione compiuta, modificando quindi il modello di riferimento ed il proprio comportamento per massimizzare la probabilità di raggiungere l'obiettivo definito.

domenica 29 ottobre 2017

Far nascere il cambiamento dall'interno

Sto lavorando in questo periodo con due imprese leader nel loro settore e che vogliono essere ancora più veloci e più flessibili per continuare ad avere successo nel mondo liquido. Sono entrambe di medie dimensioni e lavorano per settori molto diversi: una lavora per una piccola nicchia di clienti appassionati e realizza prodotti che costano più di 1000 euro, mentre la seconda lavora per la grande distribuzione ed i suoi prodotti vengono venduti a pochi euro.

Con entrambe il ragionamento iniziale è stato: per essere più veloci e flessibili bisogna essere più lean, nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti. Abbiamo quindi fatto l’analisi delle criticità ed è emerso che i problemi sono (sempre) gli stessi: mancanza di comunicazione tra funzioni, requisiti poco definiti o in continua modifica, troppi progetti contemporaneamente attivi.

La risposta iniziale è stata quella di introdurre un metodo visuale per la definizione e condivisione dei requisiti ed il visual planning per pianificare coinvolgendo meglio tutto il team. La gestione del portafoglio progetti è stata lasciata ad un secondo momento.

Fin qui tutto logico ed apparentemente facile.

Poiché l’unico modo di imparare è “provarci seriamente”, abbiamo subito iniziato ad organizzare gli incontri di team per la pianificazione delle attività e per la definizione dei requisiti.
C’è sempre una fase nella quale i team imparano ad essere concreti nella pianificazione e ad evitare discussioni poco utili al raggiungimento degli obiettivi (questo è il segreto del successo nel lavoro per sprint). In entrambe le aziende questa fase durava da più settimane e non si vedevano miglioramenti significativi. Qualsiasi affermazione di qualsiasi partecipante veniva messa in discussione, si perdeva tempo a rivangare eventi successi nel passato, si entrava profondamente nelle questioni tecniche del prodotto. Ogni decisione richiedeva lunghe discussioni e doveva essere letteralmente conquistata superando un muro di obiezioni e di difficoltà apparentemente insormontabili. Inoltre gli obiettivi concordati in fase di pianificazione, spesso non venivano raggiunti (ed era sempre colpa di qualcun altro!).

Un giorno, al termine dell’ennesima riunione faticosa e poco produttiva, nella pausa caffè ho posto esplicitamente la domanda: “Ma perché qui è tutto così difficile?”. Non mi aspettavo di trovare una risposta, invece il responsabile dell’ufficio tecnico ha detto “Perché non siamo abituati a lavorare in team. Ognuno fa il suo pezzo ed usa gli altri come giustificazione se non riesce a raggiungere gli obiettivi”.

Questa frase, per quanto banale è stata il punto di partenza per una riflessione più approfondita. In entrambe le aziende organizzazione e processi si sono formati negli anni sulla base delle persone presenti, senza regole chiare o punti di controllo formalizzati. Ed è così che il responsabile degli acquisti definisce alcuni particolari d’acquisto del prodotto senza nemmeno informare il responsabile tecnico. Il responsabile di produzione definisce i prezzi di vendita e li comunica ai commerciali ed il responsabile della progettazione definisce i requisiti dei prodotti senza nemmeno parlarne con i commerciali. Inoltre le decisioni chiave sono sempre state prese dall’imprenditore e alla ricerca della massima efficienza il lavoro è stato organizzato per silos.

Ecco la tempesta perfetta: scarsa capacità di lavorare e decidere in team e scarsa abitudine a rispettare delle regole. Questo mix rende infatti estremamente difficile ogni cambiamento. Il lavoro di ogni silos è infatti spesso già ottimizzato e quindi nessuno vede la necessità di cambiare. Inoltre tradizionalmente non ci sono regole da rispettare, quindi le nuove regole che potrebbero stimolare il cambiamento vengono spesso disattese.

Siamo ripartiti da queste considerazioni. Abbiamo definito alcune regole elementari e ne abbiamo preteso il rispetto. Le regole sono molto semplici: ad esempio per attivare un progetto è necessario organizzare una riunione per la condivisione dei requisiti oppure tutte le modifiche che comportano una variazione del costo del prodotto devono essere approvate dal product manager.

Per facilitare il lavoro in team ci siamo focalizzati su 5 azioni concrete:
  • E' stata introdotta la figura di un product manager per ogni prodotto, con la responsabilità di prendere le decisioni strategiche sui prodotti e di coordinarne il processo di sviluppo.
  • Sono state create occasioni di lavoro in team sia per il coordinamento delle attività, che per la definizione dei requisiti dei prodotti da sviluppare.
  • Alle persone è stato chiesto di lavorare in team con atteggiamento costruttivo che consiste in:
    • assumersi la responsabilità, ovvero chiedersi che cosa posso fare io per raggiungere l’obiettivo e non che cosa dovrebbero fare gli altri,
    • essere concreti, ovvero evitare le discussioni inutili sui casi generali, ma cercare di convergere verso una soluzione conveniente.
  • Ai team è stato richiesto di prendere tutte le decisioni necessarie, eventualmente proponendole alla direzione per avere la conferma definitiva, ma senza aspettare decisioni provenienti dall'esterno.
  • Sono stati introdotti indicatori di team per misurare i tempi di sviluppo ed il profitto generato dai prodotti
A volte si ricade ancora nelle vecchie abitudini, ma il cambiamento si è innescato, sta portando i primi frutti e soprattutto sta nascendo dall’interno delle persone.

lunedì 16 ottobre 2017

Metodi per coinvolgere i clienti nello sviluppo dei nuovi prodotti

Per sviluppare prodotti e servizi ad alto valore aggiunto, è necessario coinvolgere fin dall’inizio i potenziali clienti ed utilizzatori. Essi possono infatti aiutare l’impresa a:
  • definire bisogni ed i desideri da soddisfare,
  • convalidare le soluzioni,
  • definire il posizionamento del prodotto.
Vi sono 3 modi principali per interagire con i clienti durante lo sviluppo di un nuovo prodotto o servizio:
  • somministrare questionari
  • osservarli
  • intervistarli
Questionari
I questionari vengono utilizzati per raccogliere informazioni quantitative sugli utilizzatori. Vi sono molte tecniche per preparare e somministrare i questionari agli utilizzatori (incluse le cosiddette interviste telefoniche), però questo metodo ha anche delle controindicazioni. Innanzitutto è spesso difficile ottenere un numero adeguato di risposte. Inoltre i questionari forniscono soltanto conferme o smentite di ipotesi già fatte e non permettono di acquisire informazioni diverse da quelle attese. Infine i questionari vengono normalmente compilati in modo frettoloso e senza coinvolgimento emotivo da parte dell’utilizzatore, rendendo pertanto meno significative le informazioni raccolte.

Osservazione
L’osservazione degli utilizzatori può essere fatta nel loro ambiente, in un laboratorio predisposto dall’impresa o sul web. Osservare i clienti è utile sia per comprendere che cosa veramente vogliono fare (jobs-to-be-done), sia per individuare i pain-point, intorno ai quali sviluppare i nuovi prodotti, sia per verificare adeguatezza ed usabilità dei prodotti in corso di sviluppo. Vi sono diverse tecniche per osservare i clienti e raccogliere i dati, ma tutte prevedono che l’osservatore non interferisca con l’utilizzatore e non abbia alcun ruolo attivo nel processo. A volte l’osservatore non è nemmeno visibile dall’utilizzatore, che viene invece filmato da una telecamera. L’utilizzo di prodotti interconnessi permette alle imprese di “osservare” l’utilizzo che ne viene fatto e di raccogliere informazioni importanti senza interagire “personalmente” con gli utilizzatori.
Un tipo particolare di osservazione è quella che avviene sul web, dove l’impresa monitora le attività dei propri potenziali utilizzatori, eventualmente stimolando discussioni e fornendo informazioni.

Interviste
Le interviste sono particolarmente utili sia per conoscere i bisogni dei clienti, sia per definire il posizionamento del prodotto, sono spesso meno utili per validare le soluzioni ideate dall’azienda (in questo caso è meglio l’osservazione diretta). Le interviste possono essere ad utenti singoli o a gruppi di utenti e le tecniche da utilizzare sono diverse a seconda dell’obiettivo da raggiungere. Spesso non è necessario intervistare un gran numero di utilizzatori (una decina può essere già un punto di partenza).
Per conoscere i bisogni ed i desideri degli utilizzatori le interviste vengono fatte prima dell’inizio dello sviluppo e devono essere poco strutturate. Lasciare molto spazio agli intervistati permette infatti a loro di portare naturalmente la conversazione su quelli che considerano i punti più importanti o interessanti. Le competenze necessarie per la realizzazione di queste interviste sono la capacità di mettere l’utente a proprio agio e la capacità di ascoltare.
Le interviste di gruppo vengono spesso chiamate “focus group” e consistono nello stimolare la discussione tra utilizzatori attorno a temi predefiniti. Se il gruppo di utilizzatori non è troppo omogeneo, possono nascere osservazioni e spunti veramente molto interessanti e non prevedibili a priori dall’impresa.
Altri tipi di interviste vengono utilizzati per definire il posizionamento dei prodotti, ovvero per definirne le caratteristiche ed il prezzo di vendita.
Una volta compresi i bisogni ed i desideri dei clienti, l’impresa definisce un insieme di possibili funzioni e caratteristiche del prodotto da sviluppare. In questa fase è possibile chiedere ad alcuni clienti di selezionare le caratteristiche:
  • irrinunciabili: se non presenti, il prodotto non viene nemmeno considerato per l’acquisto,
  • desiderabili: interessanti se proposte ad un prezzo adeguato,
  • indifferenti: il cliente non è disposto a spendere per averle,
  • negative: preoccupano o spaventano il cliente, che desidera un prodotto senza quelle caratteristiche.
Una volta effettuata una prima selezione delle caratteristiche del prodotto, è possibile assegnare un valore (=prezzo) ad ogni caratteristica e chiedere agli utilizzatori di “costruire” il proprio prodotto determinando il miglior compromesso tra funzionalità e valore. Questa tecnica può essere usata anche nelle prime fasi del value engineering per stabilire l’importanza delle diverse caratteristiche e il livello di spesa considerato accettabile dai diversi clienti.
Un'altra tecnica per coinvolgere i clienti nel posizionamento dei prodotti è quella di creare diverse configurazioni di prodotto con diversi prezzi e chiedere agli utilizzatori di ordinarle sulla base della loro propensione all’acquisto. Si possono in questo modo definire le configurazioni da proporre al mercato sottoforma di “bundle” (=pacchetto). Questa tecnica si avvicina a quella chiamata conjoint analysis, che permette di stimare l’importanza delle diverse caratteristiche analizzando la propensione di acquisto delle diverse configurazioni.

In tutte le tecniche di intervista è necessario porre molta attenzione a tre fattori:
  • il campione intervistato deve rappresentare i segmenti di mercato individuati,
  • le interviste devono essere fatte durante incontri dedicati e le domande vanno poste in modo neutro per non influenzare gli intervistati,
  • bisogna chiedere sempre “perché” e cercare di scoprire le ragioni profonde delle affermazioni fatte.
Non è molto difficile interagire con i clienti durante lo sviluppo dei prodotti e tutte le imprese dovrebbero farlo, migliorando progressivamente le tecniche, curando molto la diffusione al loro interno delle informazioni raccolte e permettendo a tutte le funzioni aziendali di partecipare direttamente a queste interazioni.

domenica 1 ottobre 2017

La nuvola dei bisogni degli utilizzatori

L’innovazione dei prodotti e dei servizi trae ispirazione da quattro elementi principali:
  • I concorrenti: conoscere i prodotti e servizi dei concorrenti è ovviamente fondamentale per non re-inventare qualcosa che esiste già e per avere un riferimento sul prezzo,
  • Le tecnologie: nuove tecnologie possono fornire nuove risposte a bisogni espliciti o latenti degli utilizzatori,
  • Il DNA aziendale: ogni azienda, come ogni persona, vede il mercato in modo unico, ha degli obiettivi articolati da raggiungere e delle competenze specifiche da mettere in gioco per l’innovazione,
  • Gli utilizzatori: l’osservazione e la conoscenza degli utilizzatori, dei loro bisogni, dei loro desideri e della loro sensibilità sono gli elementi fondamentali per ideare nuovi prodotti e servizi e per valutare la bontà delle idee generate.

Questi 4 elementi devono accompagnare l’intero processo di innovazione ispirandolo e guidandolo fino alla realizzazione di un prodotto di successo.

Uno strumento molto utile nelle fasi di ideazione e definizione dei nuovi prodotti e servizi è la nuvola dei bisogni, che rappresenta sotto forma di mappa mentale i bisogni degli utilizzatori. Essendo uno strumento da usare nelle fasi iniziali dello sviluppo, non è molto strutturata e si presta alla rappresentazione di informazioni eterogenee.
La figura seguente rappresenta una parte della nuvola dei bisogni per un bagno intelligente.



La costruzione della nuvola dei bisogni parte dall’identificazione delle aree da esplorare, cioè da macro-bisogni (ad es. “essere green”) che:
  • sono importanti per gli utilizzatori,
  • non sono ben soddisfatti con i prodotti e servizi attuali,
  • sembrano permettere all'impresa di poter proporre qualcosa di nuovo in quell’area.

Una volta identificate le aree da esplorare, si passa alla descrizione dei bisogni degli utilizzatori in quelle aree (ad es. “essere facilmente riciclabile”, “risparmiare energia durante l’utilizzo”). 
La descrizione dei bisogni “dovrebbe” seguire queste regole:
  • i bisogni esprimono elementi ai quali gli utilizzatori assegnano un valore,
  • i bisogni non descrivono il modo che potrebbe soddisfarli (soluzione),
  • i bisogni vengono espressi nel modo più generale possibile (per non influenzare/vincolare la definizione delle possibili soluzioni).

La costruzione della nuvola dei bisogni avviene in team mediamente numerosi (12-20 persone). I team possono comprendere sia persone interne all’azienda, che persone esterne (ad es. clienti, fornitori, esperti del settore o anche persone che conoscono poco il mercato di riferimento). In questa fase l’eterogeneità dei partecipanti è un valore: maggiore eterogeneità porterà infatti a punti di vista meno convenzionali e quindi aumenterà la probabilità di trovare bisogni finora nascosti.

Durante il lavoro in team, possono essere utilizzati diversi metodi per l’identificazione dei bisogni. Questa è una fase divergente e priva di contenuti tecnici, vanno quindi utilizzati metodi che appartengono alla famiglia del “brainstorming”. Spesso è utile anche cercare di costruire una visione del futuro analizzando i trend o immaginando “a day in the life (futuro)” degli utilizzatori.

Il lavoro in team produce un tabellone di bisogni, rappresentati da post-it e raggruppati secondo le logiche che emergono durante la sessione. 



Sarà poi necessario organizzare una sessione di back-office dove una o due persone riordineranno le idee e costruiranno la mappa mentale. La nuvola dei bisogni verrà quindi rivista dal team e progressivamente arricchita con nuovi bisogni, mano a mano che verranno identificati e verificati sul mercato.

La nuvola viene utilizzata da marketing e progettazione come base per la descrizione dei bisogni degli utilizzatori prima di iniziare la fase di definizione del prodotto.
In particolare è utile identificare alcuni bisogni particolarmente importanti per un segmento di utilizzatori ed utilizzarli come fonte di ispirazione nella definizione della esperienza di utilizzo del prodotto.

sabato 15 luglio 2017

L'innovazione è un ecosistema

PwC ha rilasciato l'edizione 2017 dell'Innovation Benchmark, che si basa su interviste a 1200 manager in 44 nazioni.
Emergono 5 risultati principali, che confermano il fatto che l'innovazione non è soltanto questione di tecnologia.

Il ritorno economico dell'innovazione dipende più dall'approccio, che dal budget
Non sempre un maggiore budget di spesa per l'innovazione produce risultati economici migliori. Il survey evidenzia infatti che non vi è una correlazione chiara tra spesa per R&D e risultati economici dell'azienda. Sembra dunque che sia più importante spendere bene il budget per l'innovazione, piuttosto che cercare di aumentarlo. Solo il 32% degli intervistati ritiene infatti necessario un aumento del budget per migliorare le prestazioni dell'innovazione.

Servono nuovi modelli di business
Raramente singoli atti innovativi producono risultati utili: l'innovazione deve dunque essere allineata con una solida strategia aziendale. In particolare le nuove tecnologie permettono (richiedono?) nuovi modelli di business ed è pertanto necessario allineare sin dall'inizio ed in modo completo la strategia per l'innovazione con la più ampia vision aziendale.

Un modello più inclusivo
Le imprese che hanno più successo nell'innovazione sono quelle che adottano un modello più inclusivo, sia verso l'interno, che verso i clienti ed i fornitori. In particolare soltanto il 34% degli intervistati crede che la ricerca (R&D) sia sufficiente per assicurare innovazione di successo. Il 61% utilizza invece l'open innovation per generare idee, il 59% utilizza il design thinking, mentre il 55% ritiene fondamentale il coinvolgimento dei clienti e dei fornitori nel processo di innovazione. 

Soft skills
L'innovazione richiede molto più di forti competenze tecnologiche. I team innovativi devono essere formati da persone con culture diverse ed in particolare molte imprese si affidano ad alcune competenze "soft" dei loro collaboratori: intuizione, capacità di giudizio e creatività. Il 65% dei manager intervistati ritiene infatti che un fattore chiave per il successo dell'innovazione siano la cultura ed i comportamenti innovativi dell'ecosistema, il 63% pensa che il "fresh thinking" sia fondamentale.

Importanza della tecnologia
La tecnologia è sicuramente un elemento fondamentale per l'innovazione: nuove tecnologie permettono infatti di ideare prodotti e servizi innovativi, di modificare i business model, di raggiungere nuovi clienti, di aumentare la conoscenza dei clienti. Il 33% degli intervistati ritiene infatti che l'innovazione sia principalmente un effetto della tecnologia, mentre un altro 33% ritiene che l'innovazione sia la combinazione di nuove tecnologie e mercati.

Nonostante l'importanza della tecnologia, risulta dunque evidente che l'innovazione sia il risultato di un ecosistema, che include tutte le funzioni aziendali, i clienti ed i fornitori e che si basa sui comportamenti innovativi delle persone coinvolte.
Direi che questi risultati non sorprendono, anzi confermano il fatto che l'innovazione liquida sia un possibile modello di riferimento per avere successo e creare profitto nel mercato attuale.

Il report completo si può leggere qui.

domenica 18 giugno 2017

Architettura modulare dei prodotti: la chiave per la gestione della varietà

Nel mondo liquido i prodotti evolvono molto velocemente e devono essere personalizzabili dai clienti anche dopo l’acquisto. C’è un solo modo di soddisfare queste necessità ed è l'utilizzo dell’architettura modulare.
Architettura modulare significa che i prodotti sono costruiti a partire da elementi base simili ai mattoncini del Lego. In questo modo è possibile offrire al mercato una gamma ampia e personalizzabile pur con un numero limitato di “mattoncini”, ottenendo l'effetto dell'iceberg rovesciato.



L’introduzione dell’architettura modulare ad una famiglia di prodotti esistenti è un progetto di medio-lungo termine e porta spesso più lontano di quanto si possa immaginare all’inizio. Pensiamo ad esempio alla Lego, che produceva giochi di plastica “normali” e che oggi è il gigante che conosciamo proprio grazie all’introduzione degli “automatic binding bricks” nel 1949.

Focalizzandoci esclusivamente sugli aspetti tecnici, l’introduzione dell’architettura modulare prevede l'esecuzione di 3 macro passi:
  1. definizione dei requisiti funzionali
  2. definizione dell’architettura funzionale
  3. definizione dei moduli e delle interfacce


Definizione dei requisiti funzionali
La definizione dei requisiti funzionali può partire dalla teoria dei jobs-to-be-done di Anthony Ulwick. In estrema sintesi si analizza l’esperienza di utilizzo dei prodotti dal punto di vista degli obiettivi degli utilizzatori. I prodotti possono essere allora rappresentati come una sequenza di “job” che gli utilizzatori devono eseguire.
È possibile utilizzare uno schema simile a quello sottostante per collegare i job con le funzioni che i prodotti dovranno realizzare.


Definizione dell'architettura funzionale
Una volta identificate le funzioni da realizzare è possibile rappresentare l’architettura funzionale del prodotto. Ogni funzione è rappresentata da un modulo funzionale, che è attraversato da flussi di materia, energia o informazioni.


Definizione dei moduli e delle interfacce
Dall’architettura funzionale è possibile identificare i moduli fisici che realizzeranno le funzioni seguendo 2 regole fondamentali che definiscono i prodotti modulari:
  1. ogni funzione è realizzata da un solo modulo fisico (ogni modulo può invece realizzare più funzioni),
  2. le interfacce tra i moduli sono standardizzate, così che sia possibile sostituire un modulo con un altro equivalente (ma con prestazioni diverse).

Non esistono algoritmi che permettono di definire la miglior architettura fisica di un prodotto. È dunque necessario procedere in modo sperimentale tenendo conto di parametri quali:
  • necessità di personalizzazione,
  • velocità di evoluzione dei diversi elementi,
  • processo di costruzione,
  • catena di fornitura,
  • costi,
  • caratteristiche fisiche del prodotto (dimensioni, vicinanze, ...),
  • complessità delle configurazioni da gestire.

Si ottiene in questo modo una prima ipotesi di architettura modulare del prodotto a partire dai job-to-be.done.


Ogni modulo può allora essere visto come una black-box con comportamenti, prestazioni ed interfacce definite. È allora possibile sostituire un singolo modulo senza dover “rivedere” l’intero prodotto. Questo vale sia per personalizzazioni, sia per l’evoluzione tecnologica dei singoli moduli e fornisce dunque un'elevata flessibilità al prodotto.