Nel mondo liquido i
prodotti evolvono molto velocemente e devono essere personalizzabili dai
clienti anche dopo l’acquisto. C’è un solo modo di soddisfare queste
necessità ed è l'utilizzo dell’architettura modulare.
Architettura modulare
significa che i prodotti sono costruiti a partire da elementi base simili ai mattoncini del Lego. In questo modo è possibile offrire al mercato una gamma ampia e
personalizzabile pur con un numero limitato di “mattoncini”, ottenendo l'effetto dell'iceberg rovesciato.
L’introduzione dell’architettura
modulare ad una famiglia di prodotti esistenti è un progetto di medio-lungo termine
e porta spesso più lontano di quanto si possa immaginare all’inizio. Pensiamo ad
esempio alla Lego, che produceva giochi di plastica “normali” e che oggi è il
gigante che conosciamo proprio grazie all’introduzione degli “automatic binding
bricks” nel 1949.
Focalizzandoci
esclusivamente sugli aspetti tecnici, l’introduzione dell’architettura modulare
prevede l'esecuzione di 3 macro passi:
- definizione dei requisiti funzionali
- definizione dell’architettura funzionale
- definizione dei moduli e delle interfacce
Definizione dei requisiti funzionali
La definizione dei
requisiti funzionali può partire dalla teoria dei jobs-to-be-done di Anthony Ulwick. In estrema sintesi si analizza l’esperienza di utilizzo dei prodotti dal punto di vista degli
obiettivi degli utilizzatori. I prodotti possono essere allora rappresentati come una
sequenza di “job” che gli utilizzatori devono eseguire.
È possibile utilizzare
uno schema simile a quello sottostante per collegare i job con le funzioni che
i prodotti dovranno realizzare.
Definizione dell'architettura funzionale
Una volta identificate le
funzioni da realizzare è possibile rappresentare l’architettura funzionale del
prodotto. Ogni funzione è rappresentata da un modulo funzionale, che è
attraversato da flussi di materia, energia o informazioni.
Definizione dei moduli e delle interfacce
Dall’architettura funzionale
è possibile identificare i moduli fisici che realizzeranno le funzioni seguendo
2 regole fondamentali che definiscono i prodotti modulari:
- ogni funzione è realizzata da un solo modulo fisico (ogni modulo può invece realizzare più funzioni),
- le interfacce tra i moduli sono standardizzate, così che sia possibile sostituire un modulo con un altro equivalente (ma con prestazioni diverse).
Non esistono algoritmi che
permettono di definire la miglior architettura fisica di un prodotto. È dunque
necessario procedere in modo sperimentale tenendo conto di parametri quali:
- necessità di personalizzazione,
- velocità di evoluzione dei diversi elementi,
- processo di costruzione,
- catena di fornitura,
- costi,
- caratteristiche fisiche del prodotto (dimensioni, vicinanze, ...),
- complessità delle configurazioni da gestire.
Si
ottiene in questo modo una prima ipotesi di architettura modulare del prodotto
a partire dai job-to-be.done.
Ogni modulo può allora essere visto come una
black-box con comportamenti, prestazioni ed interfacce definite. È allora
possibile sostituire un singolo modulo senza dover “rivedere” l’intero prodotto. Questo
vale sia per personalizzazioni, sia per l’evoluzione
tecnologica dei singoli moduli e fornisce dunque un'elevata flessibilità al prodotto.
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