sabato 29 giugno 2013

La razionalità non basta per prendere buone decisioni

La parola scegliere deriva dal latino ex-eligere, cioè “cogliere da”.
Nel corso della nostra vita facciamo continuamente scelte, la maggior parte delle quali sono semplici e vengono gestite dal nostro subconscio o richiedono un livello minimo di attenzione.
Scegliere diventa difficile quando la posta in gioco è alta (ad es. nell’acquisto di una casa), quando si tratta di scegliere tra alternative simili, ma difficilmente confrontabili (è meglio un hotel con le camere grandi o uno più vicino al mare?) oppure quando le informazioni per scegliere sono particolarmente incerte (mi conviene acquistare azioni della Apple o della Fiat?).

Per molto tempo la teoria delle decisioni si è focalizzata sul concetto di massimizzazione dell’utile: si assumeva infatti che le persone prendessero decisioni puramente razionali, volte a trarre il massimo beneficio per sé o per la comunità. Sono stati sviluppati molti algoritmi e metodi analitici per identificare la scelta migliore tra diverse alternative.
Questi metodi però sono difficilmente utilizzabili nella pratica, perché i problemi “veri” sono molto più complessi dei modelli matematici o manageriali che li rappresentano e perché spesso le informazioni disponibili al momento della decisione sono insufficienti o troppo incerte.

Nel corso dell’evoluzione la nostra mente ha sviluppato una capacità inconscia chiamata intuito (dal latino in-tueri, guardare dentro): l’intuito è un processo inconscio che permette di prendere decisioni in tempi rapidi, basandosi su una visione olistica del problema, sull'identificazione di alcuni elementi chiave e sul coinvolgimento emotivo.
Sappiamo infatti che la nostra mente è immersa in un flusso emozionale continuo, che influenza le nostre decisioni. Alcuni semplici esperimenti eseguiti da Kahn e Isen dimostrano ad esempio che le persone con umore positivo sono più aperte a stimoli nuovi e prendono decisioni migliori e più innovative rispetto alle persone con umore neutro o negativo.
Un altro fattore che influenza in modo sottile le decisioni è il cosiddetto effetto “framing” studiato da Tversky e Kahneman con una serie di esperimenti. Il modo di presentare il problema influenza in modo significativo le scelte effettuate perché modifica il modo di percepire i vantaggi e gli svantaggi delle diverse alternative. Un capolavoro dell’effetto framing è secondo me la scena dei funghi fritti fritti fritti nel film La vita è bella di Roberto Benigni.

Le decisioni prese nelle fasi iniziali dell’innovazione (front end of innovation), in particolare quelle relative alla selezione delle idee da sviluppare sono spesso molto difficili: la posta in gioco è alta e le informazioni a disposizione sono generalmente poche ed incerte. In questi casi il puro ragionamento non ci porta molto lontano ed è dunque necessario affidarsi all’intuito.
Questo ovviamente non vuol dire assenza di qualsiasi metodo e decisioni prese senza regole. Per migliorare la qualità delle decisioni di selezione delle idee, è allora utile osservare i seguenti accorgimenti: 
  • Definire dei momenti specifici in cui prendere le decisioni: per evitare la tendenza a “non decidere”, che spesso emerge nel caso di decisioni difficili e che può causare lunghi ritardi nel time to market dei nuovi prodotti. 
  • Definire un team decisionale: sarebbe sbagliato e troppo rischioso affidare decisioni così difficili ad una sola persona. Dovrebbe essere coinvolto un team decisionale formato da esperti con diversi modi di ragionare e con diversi punti di vista. 
  • Creare un’atmosfera positiva: le decisioni migliori vengono prese in condizioni di umore positivo e senza stress. 
  • Formulare il problema in maniera corretta (framing): cercando di presentare in modo neutro ed oggettivo vantaggi e svantaggi delle diverse scelte. 
  • Raccogliere e condividere tutte le informazioni disponibili: decisioni di elevata qualità richiedono una gran quantità di informazioni per poter valutare al meglio le possibili alternative. 
  • Esplorare le diverse alternative: può essere utile "raccontare" diversi scenari che descrivono le possibili alternative, le loro conseguenze ed i relativi livelli di rischio. Questo permette di stimolare sia la parte analitica, che l'intuito dei partecipanti. 
  • Utilizzare mappe o altri metodi visuali per rappresentare il problema e le possibili alternative: la visualizzazione coinvolge infatti circuiti cerebrali diversi da quelli puramente logico-astratti. 
  • Lasciar emergere l’intuito del team: quando i partecipanti avranno avuto il tempo di definire il proprio "orientamento decisionale" è necessario costruire empaticamente il consenso del team sulle decisioni da prendere, evitando il più possibile tutte le distorsioni (derivanti ad esempio da dinamiche di potere).

sabato 22 giugno 2013

La nuvola delle idee: le idee acquistano valore e diventano patrimonio aziendale


Un’idea nella testa di una persona non ha alcun valore.
Le idee, al contrario dei beni fisici, moltiplicano il proprio valore ogni volta che vengono condivise. Questo concetto è espresso molto bene dal famoso aforisma di G.B. Shaw: “Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un'idea, ed io ho un'idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee”.

Per ogni azienda è dunque importante favorire la condivisione delle idee. Le idee possono nascere da qualunque persona ed in qualunque momento ed è tanto banale quanto importante affermare che deve esistere un “posto” dove poterle annotare e condividere in modo semplice ed immediato.

Poichè le idee si sviluppano meglio se vengono confrontate con altre, la condivisione delle idee dovrebbe avvenire il più precocemente possibile. Bisogna però considerare che le prime fasi della vita delle idee non si adattano facilmente alle costrizioni di procedure formali. Ad esempio la richiesta di compilare un documento di descrizione delle idee con numerosi campi, spesso scoraggia sia la presentazione, che la lettura delle idee.  E soprattutto distoglie l’attenzione dagli aspetti più importanti in questa fase iniziale: un’idea appena nata  infatti non si chiede che cosa farà da grande, ma deve soprattutto ricevere un nome evocativo ed esplicativo, che le permetta di essere compresa, riconosciuta e amata.

Il modo più semplice per annotare le idee è probabilmente quello di creare la nuvola delle idee, cioè uno o più cartelloni appesi al muro nei quali le idee possano essere rappresentate mediante il loro nome scritto su un post-it e messe a disposizione di tutti. In questa fase tutto il resto è zavorra, che uccide la creatività.
La nuvola delle idee può essere organizzata per argomenti: ad es. uno spazio per ogni famiglia di prodotti e poi spazi per altri temi caldi (ad es. la ricerca di nuovi mercati).

Una volta raccolte nella nuvola, è necessario che le idee vengano valutate da chi può decidere in che direzione farle evolvere. Anche per questo passaggio è possibile definire delle procedure rigide con workflow ed incontri regolari ad intervalli di tempo prestabiliti, ma spesso risulta più efficace che chi ha generato l’idea ne parli con le persone che ritiene opportune, scegliendo liberamente il momento. Infatti siamo ancora in una fase nella quale gli schemi prestabiliti risultano spesso troppo rigidi e l’informalità è più efficace delle procedure formali.
La nuvola delle idee può essere consultata in modo pianificato in corrispondenza a momenti specifici della vita aziendale, ad esempio quando si devono prendere decisioni riguardo il piano strategico dei prodotti e la preparazione del budget o alla partenza dei nuovi progetti.

Quando un’idea della nuvola viene giudicata interessante e si decide di mandarla avanti, è il momento di descriverla in un documento che potrebbe essere chiamato idea brief.
Alcune aziende sono abituate a fornire a designer esterni indicazioni su quello che vogliono sottoforma di design brief (o product brief). L’idea brief è un documento analogo, che nasce prima del design brief ed ha il duplice obiettivo di descrivere l’idea all’azienda e di indirizzare tutte le future scelte non deterministiche che riguarderanno l’idea.

L’idea brief dovrebbe contenere le seguenti informazioni:
  • descrizione dell’idea: descrizione sintetica dell’idea, possibilmente dal punto di vista dell’utilizzatore,
  • descrizione del problema che l’idea intende risolvere: tutti i prodotti (o le modifiche ai prodotti esistenti) nascono per risolvere un problema ed il primo passo per avere successo è proprio quello di spiegare bene qual è il problema che si intende affrontare,
  • mercato target: identificazione dei segmenti di mercato ai quali potrà essere proposto il prodotto,
  • quali elementi la rendono unica: identificazione degli elementi che rendono l’idea diversa da tutto quello che esiste già sul mercato e le danno quindi motivo di esistere,
  • quali obiettivi aziendali soddisfa: che cosa deve aspettarsi l’azienda da questa idea (ad es. aumento dei volumi di vendita o riduzione dei costi delle garanzie),
  • eventuali annotazioni: per descrivere meglio l’idea o per evidenziare eventuali assunzioni fatte o per mettere in luce alcuni vincoli, ...

La preparazione della nuvola delle idee e la compilazione dell'idea brief sono strumenti molto semplici, che per essere efficaci devono entrare nelle consuetudini aziendali. Nel periodo di avviamento (che può durare alcuni mesi) il loro utilizzo dovrà essere stimolato, chiedendo alle persone ad appendere le proprie idee e di tenere conto nelle loro attività quotidiane delle idee che sono contenute nella nuvola. 

NOTA: È importante prevedere efficaci meccanismi per "fare pulizia" nella nuvola delle idee: non serve a nulla avere centinaia di idee nella nuvola, se poi non si riesce a governarle. Tutte le idee poco importanti o non fattibili vanno dunque eliminate velocemente e senza troppi rimpianti: altre idee arriveranno a prendere il loro posto!

CALL TO ACTION
  • Preparare la nuvola delle idee e chiedere ai collaboratori di appendere le loro idee entro una certa data, nella quale la nuvola delle idee verrà riesaminata da un team per individuare se esistono  idee da sviluppare. Bisogna spiegare ai collaboratori lo scopo della nuvola delle idee e può essere utile anche organizzare alcune sessioni di generazione di idee per iniziare a popolare la nuvola.
  • Scrivere l’idea brief per alcune idee importanti.

sabato 15 giugno 2013

Le idee sono come le farfalle


La parola idea nasce dalla radice greca eid-, che significa vedere.
Molti filosofi e psicologi hanno cercato di definire le idee e di comprendere come nascono. Sono state  sviluppate diverse teorie: dall’esistenza di idee innate (Platone), alle idee come rappresentazione della realtà (Cartesio), fino alle idee come strumento di conoscenza (Steiner). Ad oggi non vi è ancora una teoria universalmente accettata che spieghi come nascono le idee.
Dall’osservazione “sperimentale” credo però che si possa convenire che:
  • le idee nascono spontaneamente nella nostra mente a livello inconscio e poi “appaiono” alla nostra mente conscia
  • la nascita di idee è favorita dalla creazione di collegamenti tra informazioni pre-esistenti (si veda a questo proposito il video Where good ideas come from di Steven Johnson).
Nelle imprese le idee hanno un ciclo di vita simile a quello delle farfalle: nascono bruchi, vengono selezionate, nutrite e poi selezionate nuovamente. Quelle che sopravvivono entrano nel bozzolo dello sviluppo e si trasformano in nuovi prodotti e servizi.

Troppo spesso le aziende dimenticano che le idee sono il carburante dell’innovazione e non si curano di gestirne il ciclo di vita. Questo è molto pericoloso: investire risorse preziose nello sviluppo di idee mediocri è uno dei più gravi errori che le aziende possono fare. Anche perchè paradossalmente la generazione e la selezione delle idee sono attività che costano poco ed hanno invece un’influenza importante e diretta sul profitto aziendale.

Le prime due fasi del ciclo di vita delle idee sono (le fasi successive verranno descritte in altri post):
  • la nascita
  • la condivisione

La nascita delle idee
Nuove idee sbocciano continuamente nella nostra mente, ma il processo di generazione delle idee non può essere forzato ed i suoi risultati non possono essere determinati a priori. In azienda la generazione di idee non può essere imposta ed è dunque il risultato di una collaborazione volontaria tra l’azienda ed i propri collaboratori.
Generare nuove idee è infatti un'attività non "obbligatoria", che comporta un certo rischio di insuccesso e che spesso continua al di fuori dell'orario di lavoro. Per questo motivo la prima cosa che le aziende devono fare per stimolare la generazione di idee è quella di motivare i propri collaboratori, spesso facendo leva su elementi quali la passione, l’autonomia decisionale, il coinvolgimento ed il clima aziendale positivo.
Poichè le idee sono nuovi collegamenti tra informazioni, un’altra cosa che le aziende possono fare è  favorire l’acquisizione e la diffusione di informazioni, che possano arricchire i propri collaboratori ed orientare i temi sui quali generare idee.
La creatività è un fenomeno sociale: in solitudine ogni persona tende a ripercorrere sempre gli stessi percorsi mentali senza arrivare a nuove idee. L’azienda può allora creare occasioni di incontro e confronto per lo sviluppo di nuove idee (anche con persone esterne). In queste occasioni è anche possibile utilizzare metodi per favorire la creatività.
Ognuno di noi deve invece aumentare la propria curiosità, abituarsi a vedere le cose da diversi punti di vista, confrontarsi con altre persone e soprattutto imparare a prestare attenzione ai primi segnali di vita delle nuove idee. Appena nate le idee sono infatti evanescenti e fragilissime: per ucciderle basta la mancanza di attenzione.

La condivisione delle idee
Un’idea nella mente di una persona non ha alcun valore. Le idee acquistano valore quando vengono condivise. Prima però devono superare una selezione da parte di chi le ha pensate. La selezione prevede essenzialmente la risposta a tre domande:
  • è sensata/fattibile?
  • che cosa rischio?
  • che cosa ci guadagno?

Come si può intuire, la risposta a queste domande è influenzata pesantemente dall’ambiente in cui ci si trova. In un’azienda dove molte idee vengono fermate o peggio nemmeno considerate, dove non viene incoraggiata l’esplorazione di nuovi percorsi, molte idee non verranno nemmeno proposte perchè giudicate non fattibili o troppo rischiose da parte di chi le ha pensate. Inoltre se i collaboratori non si sentono coinvolti nel destino dell'azienda, difficilmente vedranno un vantaggio nel proporre le loro idee.

CALL TO ACTION
La scarsa propensione dei collaboratori a generare e condividere nuove idee costituisce spesso una delle più importanti barriere invisibili all'innovazione.
E' importante dunque riflettere sulla propria azienda ed identificare quali sono gli ostacoli che scoraggiano i collaboratori a generare nuove idee ed a condividerle con l’azienda (magari condividendoli qui sotto forma di commenti per aiutare la riflessione di tutti).

sabato 8 giugno 2013

Internet of things: il limite è la fantasia

Un giorno gli oggetti potranno comunicare tra loro. Potranno accedere a miliardi di dati e ad un’intelligenza elaborativa complessa. Un giorno gli oggetti potranno imparare e collaborare tra loro per aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi. Un giorno gli oggetti resteranno in contatto con l’azienda che li ha prodotti per tutta la durata della loro vita.

Quel giorno non è lontano.

Secondo le stime di Cisco, oggi ci sono circa 10 miliardi di oggetti collegati a internet e questo numero aumenterà velocemente fino a raggiungere i 50 miliardi nel 2020. Stiamo parlando di semafori, lampade, caldaie, forni, macchine utensili, automobili, ... ogni oggetto può essere connesso a internet (oggi meno dell'1% degli oggetti è interconnesso).
Questa rivoluzione si chiama Internet of things. Tutti ne saremo coinvolti ed è una delle principali opportunità di business per i prossimi anni (secondo Cisco produrrà 14.400 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni).

Spesso quando si parla di internet of things, il focus è sulle tecnologie, ma questa è un’innovazione technology-push (cioè abilitata dalla tecnologia) e come per tutte le innovazioni di questo tipo, il problema principale non è “come”, ma “perchè”. La tecnologia rende infatti possibile connettere ad internet i prodotti., ma la sfida è quella di utilizzare l'interconnessione creare valore. Il vero limite è dunque la nostra fantasia.

Internet of things sta esplodendo perchè si stanno verificando una serie di condizioni:
  • l'interconnessione degli oggetti è un aspetto del bisogno umano fondamentale di comunicare,
  • le tecnologie abilitanti sono sufficientemente mature ed economiche,
  • esiste un'infrastruttura disponibile (web, reti di comunicazione, cloud computing, smartphone),
  • dal punto di vista culturale, internet è entrata nelle nostre vite.
I prodotti connessi a internet continueranno a fare quello che fanno oggi, ma potranno anche:
  • fornire informazioni: gli oggetti potranno raccogliere informazioni sul funzionamento, sul proprio stato o sull’ambiente circostante ed inviarle dovunque via internet. (Esempio: Sorin - Smartview) ,
  • ricevere informazioni: ogni prodotto potrà avere accesso ad informazioni contenute ovunque e prodotte da qualsiasi fonte (Esempio: WeatherTRAK),
  • imparare: ogni prodotto potrà avere un'applicazione software accessibile via web e che gli permetterà di elaborare molte informazioni e di imparare (Esempio: Nest),
  • essere aggiornati periodicamente: in un mondo in cui l'evoluzione è particolarmente veloce, sarà possibile aggiornare i prodotti già venduti per allungarne la vita o migliorarne le prestazioni (Esempio: Bose - Bluetooth Headset),
  • essere comandati da remoto: gli utilizzatori o i supervisori potranno controllare le diverse funzioni del prodotto da remoto, utilizzando ad esempio uno smartphone  (Esempio: Sorgenia - Mypresa)
  • automatizzare alcuni comportamenti e prendere alcune decisioni: sulla base delle informazioni ottenute dal contesto e mediante la capacità di elaborazione, i prodotti potranno prendere decisioni ed eseguire automaticamente alcune operazioni (Esempio: SmartStart)
  • collaborare in modo intelligente: gli oggetti e gli utilizzatori costituiranno una sorta di rete sociale, nella quale i comportamenti degli uni potranno influenzare i comportamenti degli altri (Esempio: Energy@home).
L'interconnessione dei prodotti non è soltanto l'aggiunta di nuove funzionalità, ma è un nuovo modo di pensare ai prodotti stessi, alla loro esperienza di utilizzo ed alla relazione tra aziende e clienti.
Oggi molte di queste opportunità sono ancora inesplorate e la connessione a internet dei prodotti spesso è considerata poco più di un gadget. Tra qualche anno però molti prodotti saranno connessi ad internet e quelli non connessi perderanno gran parte del loro valore.
È dunque necessario prendere parte a questa rivoluzione e credo che il modo migliore per farlo sia quello di iniziare a pensare che cosa potrebbero fare i nostri prodotti se fossero interconnessi (come sempre il modo migliore per imparare è iniziare a fare).

Di seguito alcuni link a siti interessanti sull'internet of things:

CALL TO ACTION
Il primo piccolo passo potrebbe essere quello di immaginare di aggiungere al proprio prodotto un’antenna che raccoglie e riceve informazioni e che rende possibile l'accesso a internet e ad una capacità di elaborazione dati illimitata.
Si potrebbe quindi rispondere alle domande seguenti ponendosi esclusivamente il problema della creazione di valore per l’utilizzatore (il "come" è un problema successivo):
  • quali informazioni potrebbe raccogliere (dal suo funzionamento, dall’utilizzatore, dal contesto)?
  • quali informazioni potrebbe ricevere?
  • quali informazioni potrebbe elaborare?
  • che aggiornamenti potrebbe ricevere?
  • che cosa potrebbe imparare?
  • quali operazioni potrebbero essere monitorate/comandate da remoto?
  • quali decisioni potrebbe prendere?
  • quali processi potrebbero essere automatizzati?
  • con chi e come potrebbe collaborare?
Se dalle risposte emergono delle opportunità concrete di creazione di valore, è il momento di iniziare a pensare seriamente all’internet of things.

sabato 1 giugno 2013

Il valore sta nelle differenze

In inglese si dice commoditization. Avviene quando i prodotti dei diversi fornitori non hanno differenze significative e vengono scelti principalmente sulla base del prezzo. La commoditization è un processo “naturale”: tutti i prodotti nascono come innovazioni, poi se hanno successo vengono copiati e perfezionati sempre più, fino a divenire simili tra loro. A questo punto tra i produttori si scatena una sanguinosa guerra al ribasso dei prezzi per mantenere o incrementare i volumi di vendita. In questa guerra le piccole e medie imprese dei paesi sviluppati sono destinate inevitabilmente a perdere, non potendo contare su bassi costi di produzione, nè su grandi volumi di vendita, nè su economie di scala.

Il destino di tutte le aziende (in particolare delle PMI) è dunque quello di “essere differenti”.
Nei mercati attuali, saturi di prodotti e di messaggi, essere differenti è necessario anche solo per catturare l’attenzione dei potenziali clienti. 

Come scriveva Levitt nel suo famoso articolo del 1980 (Market success through differentiation of anything), la differenziazione può avvenire sulla base di diversi fattori. Si può infatti individuare un “ciclo” di differenziazione, che parte dall’introduzione di un prodotto innovativo, procede con la differenziazione per mezzo di servizi migliori e si completa con la differenziazione della cosiddetta “brand experience”, che cerca di costruire una relazione emozionale durevole tra i clienti e l’azienda.
Questi 3 fattori di differenziazione si combinano e si completano vicendevolmente: prodotti e servizi contribuiscono a costruire il valore del marchio, così come poi il marchio concorre a far aumentare il valore dei prodotti e dei servizi.

Torneremo a parlare di metodi per differenziare prodotti e servizi. Oggi parleremo invece di come differenziare la propria azienda tramite la brand experience. È importante considerare che la costruzione della brand experience richiede tempi lunghi (anni) e che la brand experience si forma anche se l’azienda non ne è cosciente ed è passiva.
In estrema sintesi la brand experience deve:
  • Generare fiducia: il marchio è una “scorciatoia” che i clienti utilizzano per essere sicuri della qualità ed affidabilità del prodotto (che viene garantita dall'immagine del produttore).
  • Creare e mantenere il legame emotivo: ogni marchio richiama alla mente significati e valori emotivi, che costituiscono un potente ed oscuro fattore di scelta nelle decisioni di acquisto.
  • Essere riconoscibile: la brand experience è un importante elemento di differenziazione, è quindi importante definire e perseguire un “posizionamento strategico” significativamente diverso da quello dei concorrenti.
Dopo aver definito il sogno aziendale, si tratta ora quindi di farlo percepire al mercato come qualcosa di unico. In questo modo il valore dei prodotti e dei servizi verrà "moltiplicato", così come la fedeltà dei clienti. In fondo come diceva Coco Chanel: “Per essere insostituibili, bisogna essere unici”.

CALL TO ACTION
Il posizionamento strategico si ottiene inviando al mercato "messaggi" coerenti per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Questi messaggi sono costituiti innanzitutto dai prodotti e dai servizi, ma anche dal sito web, dalla comunicazione esterna, dal processo di vendita, dalla gestione della relazione con i clienti e da tutto quanto costituisce un'interazione tra azienda e mercato.

Il primo passo per ottenere il posizionamento strategico desiderato è quello di comprendere quali sono i principali fattori di differenziazione importanti per i nostri clienti (ad es. i benefici ricercati, il prezzo, le occasioni d’uso, i valori etici, le caratteristiche fondamentali dei prodotti, ...).
Ad esempio nel settore dei mobili per la casa alcuni fattori importanti potrebbero essere: esclusività, funzionalità, servizio di consegna e montaggio, durata nel tempo, attenzione agli aspetti ecologici, prezzo.

Una volta identificati i fattori di differenziazione, è possibile utilizzare uno schema come quello della figura sottostante, che rappresenta il posizionamento dei principali concorrenti o gruppi di concorrenti. 
Nell’esempio riportato in figura, la linea verde in basso rappresenta il posizionamento dei produttori low cost, mentre la linea nera in alto rappresenta il posizionamento dei produttori top di gamma.

Per definire il posizionamento strategico desiderato della propria azienda può essere utile porsi le seguenti domande:
  • Dove devo eccellere, perchè anche i miei concorrenti lo fanno ed i clienti lo considerano assolutamente irrinunciabile? (nel nostro esempio: funzionalità, durata),
  • Che cosa posso ridurre o eliminare che gli altri fanno? (nel nostro esempio: consegna e montaggio),
  • Che cosa posso fare meglio degli altri? (nel nostro esempio: prezzo, green).
Rispondendo in modo originale a queste domande è possibile costruire un posizionamento strategico originale rispetto a quello dei concorrenti.
Indovinate a chi si riferisce il posizionamento rappresentato dalla linea rossa tratteggiata nel mercato dei mobili?

NOTA: Alcuni dei concetti presentati, sono descritti in maniera più ampia nel libro: "Strategia oceano blu. Vincere senza competere", di Kim Chan e Renèe Mauborgne, un must per chi non l'avesse ancora letto.