domenica 29 ottobre 2017

Far nascere il cambiamento dall'interno

Sto lavorando in questo periodo con due imprese leader nel loro settore e che vogliono essere ancora più veloci e più flessibili per continuare ad avere successo nel mondo liquido. Sono entrambe di medie dimensioni e lavorano per settori molto diversi: una lavora per una piccola nicchia di clienti appassionati e realizza prodotti che costano più di 1000 euro, mentre la seconda lavora per la grande distribuzione ed i suoi prodotti vengono venduti a pochi euro.

Con entrambe il ragionamento iniziale è stato: per essere più veloci e flessibili bisogna essere più lean, nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti. Abbiamo quindi fatto l’analisi delle criticità ed è emerso che i problemi sono (sempre) gli stessi: mancanza di comunicazione tra funzioni, requisiti poco definiti o in continua modifica, troppi progetti contemporaneamente attivi.

La risposta iniziale è stata quella di introdurre un metodo visuale per la definizione e condivisione dei requisiti ed il visual planning per pianificare coinvolgendo meglio tutto il team. La gestione del portafoglio progetti è stata lasciata ad un secondo momento.

Fin qui tutto logico ed apparentemente facile.

Poiché l’unico modo di imparare è “provarci seriamente”, abbiamo subito iniziato ad organizzare gli incontri di team per la pianificazione delle attività e per la definizione dei requisiti.
C’è sempre una fase nella quale i team imparano ad essere concreti nella pianificazione e ad evitare discussioni poco utili al raggiungimento degli obiettivi (questo è il segreto del successo nel lavoro per sprint). In entrambe le aziende questa fase durava da più settimane e non si vedevano miglioramenti significativi. Qualsiasi affermazione di qualsiasi partecipante veniva messa in discussione, si perdeva tempo a rivangare eventi successi nel passato, si entrava profondamente nelle questioni tecniche del prodotto. Ogni decisione richiedeva lunghe discussioni e doveva essere letteralmente conquistata superando un muro di obiezioni e di difficoltà apparentemente insormontabili. Inoltre gli obiettivi concordati in fase di pianificazione, spesso non venivano raggiunti (ed era sempre colpa di qualcun altro!).

Un giorno, al termine dell’ennesima riunione faticosa e poco produttiva, nella pausa caffè ho posto esplicitamente la domanda: “Ma perché qui è tutto così difficile?”. Non mi aspettavo di trovare una risposta, invece il responsabile dell’ufficio tecnico ha detto “Perché non siamo abituati a lavorare in team. Ognuno fa il suo pezzo ed usa gli altri come giustificazione se non riesce a raggiungere gli obiettivi”.

Questa frase, per quanto banale è stata il punto di partenza per una riflessione più approfondita. In entrambe le aziende organizzazione e processi si sono formati negli anni sulla base delle persone presenti, senza regole chiare o punti di controllo formalizzati. Ed è così che il responsabile degli acquisti definisce alcuni particolari d’acquisto del prodotto senza nemmeno informare il responsabile tecnico. Il responsabile di produzione definisce i prezzi di vendita e li comunica ai commerciali ed il responsabile della progettazione definisce i requisiti dei prodotti senza nemmeno parlarne con i commerciali. Inoltre le decisioni chiave sono sempre state prese dall’imprenditore e alla ricerca della massima efficienza il lavoro è stato organizzato per silos.

Ecco la tempesta perfetta: scarsa capacità di lavorare e decidere in team e scarsa abitudine a rispettare delle regole. Questo mix rende infatti estremamente difficile ogni cambiamento. Il lavoro di ogni silos è infatti spesso già ottimizzato e quindi nessuno vede la necessità di cambiare. Inoltre tradizionalmente non ci sono regole da rispettare, quindi le nuove regole che potrebbero stimolare il cambiamento vengono spesso disattese.

Siamo ripartiti da queste considerazioni. Abbiamo definito alcune regole elementari e ne abbiamo preteso il rispetto. Le regole sono molto semplici: ad esempio per attivare un progetto è necessario organizzare una riunione per la condivisione dei requisiti oppure tutte le modifiche che comportano una variazione del costo del prodotto devono essere approvate dal product manager.

Per facilitare il lavoro in team ci siamo focalizzati su 5 azioni concrete:
  • E' stata introdotta la figura di un product manager per ogni prodotto, con la responsabilità di prendere le decisioni strategiche sui prodotti e di coordinarne il processo di sviluppo.
  • Sono state create occasioni di lavoro in team sia per il coordinamento delle attività, che per la definizione dei requisiti dei prodotti da sviluppare.
  • Alle persone è stato chiesto di lavorare in team con atteggiamento costruttivo che consiste in:
    • assumersi la responsabilità, ovvero chiedersi che cosa posso fare io per raggiungere l’obiettivo e non che cosa dovrebbero fare gli altri,
    • essere concreti, ovvero evitare le discussioni inutili sui casi generali, ma cercare di convergere verso una soluzione conveniente.
  • Ai team è stato richiesto di prendere tutte le decisioni necessarie, eventualmente proponendole alla direzione per avere la conferma definitiva, ma senza aspettare decisioni provenienti dall'esterno.
  • Sono stati introdotti indicatori di team per misurare i tempi di sviluppo ed il profitto generato dai prodotti
A volte si ricade ancora nelle vecchie abitudini, ma il cambiamento si è innescato, sta portando i primi frutti e soprattutto sta nascendo dall’interno delle persone.

lunedì 16 ottobre 2017

Metodi per coinvolgere i clienti nello sviluppo dei nuovi prodotti

Per sviluppare prodotti e servizi ad alto valore aggiunto, è necessario coinvolgere fin dall’inizio i potenziali clienti ed utilizzatori. Essi possono infatti aiutare l’impresa a:
  • definire bisogni ed i desideri da soddisfare,
  • convalidare le soluzioni,
  • definire il posizionamento del prodotto.
Vi sono 3 modi principali per interagire con i clienti durante lo sviluppo di un nuovo prodotto o servizio:
  • somministrare questionari
  • osservarli
  • intervistarli
Questionari
I questionari vengono utilizzati per raccogliere informazioni quantitative sugli utilizzatori. Vi sono molte tecniche per preparare e somministrare i questionari agli utilizzatori (incluse le cosiddette interviste telefoniche), però questo metodo ha anche delle controindicazioni. Innanzitutto è spesso difficile ottenere un numero adeguato di risposte. Inoltre i questionari forniscono soltanto conferme o smentite di ipotesi già fatte e non permettono di acquisire informazioni diverse da quelle attese. Infine i questionari vengono normalmente compilati in modo frettoloso e senza coinvolgimento emotivo da parte dell’utilizzatore, rendendo pertanto meno significative le informazioni raccolte.

Osservazione
L’osservazione degli utilizzatori può essere fatta nel loro ambiente, in un laboratorio predisposto dall’impresa o sul web. Osservare i clienti è utile sia per comprendere che cosa veramente vogliono fare (jobs-to-be-done), sia per individuare i pain-point, intorno ai quali sviluppare i nuovi prodotti, sia per verificare adeguatezza ed usabilità dei prodotti in corso di sviluppo. Vi sono diverse tecniche per osservare i clienti e raccogliere i dati, ma tutte prevedono che l’osservatore non interferisca con l’utilizzatore e non abbia alcun ruolo attivo nel processo. A volte l’osservatore non è nemmeno visibile dall’utilizzatore, che viene invece filmato da una telecamera. L’utilizzo di prodotti interconnessi permette alle imprese di “osservare” l’utilizzo che ne viene fatto e di raccogliere informazioni importanti senza interagire “personalmente” con gli utilizzatori.
Un tipo particolare di osservazione è quella che avviene sul web, dove l’impresa monitora le attività dei propri potenziali utilizzatori, eventualmente stimolando discussioni e fornendo informazioni.

Interviste
Le interviste sono particolarmente utili sia per conoscere i bisogni dei clienti, sia per definire il posizionamento del prodotto, sono spesso meno utili per validare le soluzioni ideate dall’azienda (in questo caso è meglio l’osservazione diretta). Le interviste possono essere ad utenti singoli o a gruppi di utenti e le tecniche da utilizzare sono diverse a seconda dell’obiettivo da raggiungere. Spesso non è necessario intervistare un gran numero di utilizzatori (una decina può essere già un punto di partenza).
Per conoscere i bisogni ed i desideri degli utilizzatori le interviste vengono fatte prima dell’inizio dello sviluppo e devono essere poco strutturate. Lasciare molto spazio agli intervistati permette infatti a loro di portare naturalmente la conversazione su quelli che considerano i punti più importanti o interessanti. Le competenze necessarie per la realizzazione di queste interviste sono la capacità di mettere l’utente a proprio agio e la capacità di ascoltare.
Le interviste di gruppo vengono spesso chiamate “focus group” e consistono nello stimolare la discussione tra utilizzatori attorno a temi predefiniti. Se il gruppo di utilizzatori non è troppo omogeneo, possono nascere osservazioni e spunti veramente molto interessanti e non prevedibili a priori dall’impresa.
Altri tipi di interviste vengono utilizzati per definire il posizionamento dei prodotti, ovvero per definirne le caratteristiche ed il prezzo di vendita.
Una volta compresi i bisogni ed i desideri dei clienti, l’impresa definisce un insieme di possibili funzioni e caratteristiche del prodotto da sviluppare. In questa fase è possibile chiedere ad alcuni clienti di selezionare le caratteristiche:
  • irrinunciabili: se non presenti, il prodotto non viene nemmeno considerato per l’acquisto,
  • desiderabili: interessanti se proposte ad un prezzo adeguato,
  • indifferenti: il cliente non è disposto a spendere per averle,
  • negative: preoccupano o spaventano il cliente, che desidera un prodotto senza quelle caratteristiche.
Una volta effettuata una prima selezione delle caratteristiche del prodotto, è possibile assegnare un valore (=prezzo) ad ogni caratteristica e chiedere agli utilizzatori di “costruire” il proprio prodotto determinando il miglior compromesso tra funzionalità e valore. Questa tecnica può essere usata anche nelle prime fasi del value engineering per stabilire l’importanza delle diverse caratteristiche e il livello di spesa considerato accettabile dai diversi clienti.
Un'altra tecnica per coinvolgere i clienti nel posizionamento dei prodotti è quella di creare diverse configurazioni di prodotto con diversi prezzi e chiedere agli utilizzatori di ordinarle sulla base della loro propensione all’acquisto. Si possono in questo modo definire le configurazioni da proporre al mercato sottoforma di “bundle” (=pacchetto). Questa tecnica si avvicina a quella chiamata conjoint analysis, che permette di stimare l’importanza delle diverse caratteristiche analizzando la propensione di acquisto delle diverse configurazioni.

In tutte le tecniche di intervista è necessario porre molta attenzione a tre fattori:
  • il campione intervistato deve rappresentare i segmenti di mercato individuati,
  • le interviste devono essere fatte durante incontri dedicati e le domande vanno poste in modo neutro per non influenzare gli intervistati,
  • bisogna chiedere sempre “perché” e cercare di scoprire le ragioni profonde delle affermazioni fatte.
Non è molto difficile interagire con i clienti durante lo sviluppo dei prodotti e tutte le imprese dovrebbero farlo, migliorando progressivamente le tecniche, curando molto la diffusione al loro interno delle informazioni raccolte e permettendo a tutte le funzioni aziendali di partecipare direttamente a queste interazioni.

domenica 1 ottobre 2017

La nuvola dei bisogni degli utilizzatori

L’innovazione dei prodotti e dei servizi trae ispirazione da quattro elementi principali:
  • I concorrenti: conoscere i prodotti e servizi dei concorrenti è ovviamente fondamentale per non re-inventare qualcosa che esiste già e per avere un riferimento sul prezzo,
  • Le tecnologie: nuove tecnologie possono fornire nuove risposte a bisogni espliciti o latenti degli utilizzatori,
  • Il DNA aziendale: ogni azienda, come ogni persona, vede il mercato in modo unico, ha degli obiettivi articolati da raggiungere e delle competenze specifiche da mettere in gioco per l’innovazione,
  • Gli utilizzatori: l’osservazione e la conoscenza degli utilizzatori, dei loro bisogni, dei loro desideri e della loro sensibilità sono gli elementi fondamentali per ideare nuovi prodotti e servizi e per valutare la bontà delle idee generate.

Questi 4 elementi devono accompagnare l’intero processo di innovazione ispirandolo e guidandolo fino alla realizzazione di un prodotto di successo.

Uno strumento molto utile nelle fasi di ideazione e definizione dei nuovi prodotti e servizi è la nuvola dei bisogni, che rappresenta sotto forma di mappa mentale i bisogni degli utilizzatori. Essendo uno strumento da usare nelle fasi iniziali dello sviluppo, non è molto strutturata e si presta alla rappresentazione di informazioni eterogenee.
La figura seguente rappresenta una parte della nuvola dei bisogni per un bagno intelligente.



La costruzione della nuvola dei bisogni parte dall’identificazione delle aree da esplorare, cioè da macro-bisogni (ad es. “essere green”) che:
  • sono importanti per gli utilizzatori,
  • non sono ben soddisfatti con i prodotti e servizi attuali,
  • sembrano permettere all'impresa di poter proporre qualcosa di nuovo in quell’area.

Una volta identificate le aree da esplorare, si passa alla descrizione dei bisogni degli utilizzatori in quelle aree (ad es. “essere facilmente riciclabile”, “risparmiare energia durante l’utilizzo”). 
La descrizione dei bisogni “dovrebbe” seguire queste regole:
  • i bisogni esprimono elementi ai quali gli utilizzatori assegnano un valore,
  • i bisogni non descrivono il modo che potrebbe soddisfarli (soluzione),
  • i bisogni vengono espressi nel modo più generale possibile (per non influenzare/vincolare la definizione delle possibili soluzioni).

La costruzione della nuvola dei bisogni avviene in team mediamente numerosi (12-20 persone). I team possono comprendere sia persone interne all’azienda, che persone esterne (ad es. clienti, fornitori, esperti del settore o anche persone che conoscono poco il mercato di riferimento). In questa fase l’eterogeneità dei partecipanti è un valore: maggiore eterogeneità porterà infatti a punti di vista meno convenzionali e quindi aumenterà la probabilità di trovare bisogni finora nascosti.

Durante il lavoro in team, possono essere utilizzati diversi metodi per l’identificazione dei bisogni. Questa è una fase divergente e priva di contenuti tecnici, vanno quindi utilizzati metodi che appartengono alla famiglia del “brainstorming”. Spesso è utile anche cercare di costruire una visione del futuro analizzando i trend o immaginando “a day in the life (futuro)” degli utilizzatori.

Il lavoro in team produce un tabellone di bisogni, rappresentati da post-it e raggruppati secondo le logiche che emergono durante la sessione. 



Sarà poi necessario organizzare una sessione di back-office dove una o due persone riordineranno le idee e costruiranno la mappa mentale. La nuvola dei bisogni verrà quindi rivista dal team e progressivamente arricchita con nuovi bisogni, mano a mano che verranno identificati e verificati sul mercato.

La nuvola viene utilizzata da marketing e progettazione come base per la descrizione dei bisogni degli utilizzatori prima di iniziare la fase di definizione del prodotto.
In particolare è utile identificare alcuni bisogni particolarmente importanti per un segmento di utilizzatori ed utilizzarli come fonte di ispirazione nella definizione della esperienza di utilizzo del prodotto.

sabato 15 luglio 2017

L'innovazione è un ecosistema

PwC ha rilasciato l'edizione 2017 dell'Innovation Benchmark, che si basa su interviste a 1200 manager in 44 nazioni.
Emergono 5 risultati principali, che confermano il fatto che l'innovazione non è soltanto questione di tecnologia.

Il ritorno economico dell'innovazione dipende più dall'approccio, che dal budget
Non sempre un maggiore budget di spesa per l'innovazione produce risultati economici migliori. Il survey evidenzia infatti che non vi è una correlazione chiara tra spesa per R&D e risultati economici dell'azienda. Sembra dunque che sia più importante spendere bene il budget per l'innovazione, piuttosto che cercare di aumentarlo. Solo il 32% degli intervistati ritiene infatti necessario un aumento del budget per migliorare le prestazioni dell'innovazione.

Servono nuovi modelli di business
Raramente singoli atti innovativi producono risultati utili: l'innovazione deve dunque essere allineata con una solida strategia aziendale. In particolare le nuove tecnologie permettono (richiedono?) nuovi modelli di business ed è pertanto necessario allineare sin dall'inizio ed in modo completo la strategia per l'innovazione con la più ampia vision aziendale.

Un modello più inclusivo
Le imprese che hanno più successo nell'innovazione sono quelle che adottano un modello più inclusivo, sia verso l'interno, che verso i clienti ed i fornitori. In particolare soltanto il 34% degli intervistati crede che la ricerca (R&D) sia sufficiente per assicurare innovazione di successo. Il 61% utilizza invece l'open innovation per generare idee, il 59% utilizza il design thinking, mentre il 55% ritiene fondamentale il coinvolgimento dei clienti e dei fornitori nel processo di innovazione. 

Soft skills
L'innovazione richiede molto più di forti competenze tecnologiche. I team innovativi devono essere formati da persone con culture diverse ed in particolare molte imprese si affidano ad alcune competenze "soft" dei loro collaboratori: intuizione, capacità di giudizio e creatività. Il 65% dei manager intervistati ritiene infatti che un fattore chiave per il successo dell'innovazione siano la cultura ed i comportamenti innovativi dell'ecosistema, il 63% pensa che il "fresh thinking" sia fondamentale.

Importanza della tecnologia
La tecnologia è sicuramente un elemento fondamentale per l'innovazione: nuove tecnologie permettono infatti di ideare prodotti e servizi innovativi, di modificare i business model, di raggiungere nuovi clienti, di aumentare la conoscenza dei clienti. Il 33% degli intervistati ritiene infatti che l'innovazione sia principalmente un effetto della tecnologia, mentre un altro 33% ritiene che l'innovazione sia la combinazione di nuove tecnologie e mercati.

Nonostante l'importanza della tecnologia, risulta dunque evidente che l'innovazione sia il risultato di un ecosistema, che include tutte le funzioni aziendali, i clienti ed i fornitori e che si basa sui comportamenti innovativi delle persone coinvolte.
Direi che questi risultati non sorprendono, anzi confermano il fatto che l'innovazione liquida sia un possibile modello di riferimento per avere successo e creare profitto nel mercato attuale.

Il report completo si può leggere qui.

domenica 18 giugno 2017

Architettura modulare dei prodotti: la chiave per la gestione della varietà

Nel mondo liquido i prodotti evolvono molto velocemente e devono essere personalizzabili dai clienti anche dopo l’acquisto. C’è un solo modo di soddisfare queste necessità ed è l'utilizzo dell’architettura modulare.
Architettura modulare significa che i prodotti sono costruiti a partire da elementi base simili ai mattoncini del Lego. In questo modo è possibile offrire al mercato una gamma ampia e personalizzabile pur con un numero limitato di “mattoncini”, ottenendo l'effetto dell'iceberg rovesciato.



L’introduzione dell’architettura modulare ad una famiglia di prodotti esistenti è un progetto di medio-lungo termine e porta spesso più lontano di quanto si possa immaginare all’inizio. Pensiamo ad esempio alla Lego, che produceva giochi di plastica “normali” e che oggi è il gigante che conosciamo proprio grazie all’introduzione degli “automatic binding bricks” nel 1949.

Focalizzandoci esclusivamente sugli aspetti tecnici, l’introduzione dell’architettura modulare prevede l'esecuzione di 3 macro passi:
  1. definizione dei requisiti funzionali
  2. definizione dell’architettura funzionale
  3. definizione dei moduli e delle interfacce


Definizione dei requisiti funzionali
La definizione dei requisiti funzionali può partire dalla teoria dei jobs-to-be-done di Anthony Ulwick. In estrema sintesi si analizza l’esperienza di utilizzo dei prodotti dal punto di vista degli obiettivi degli utilizzatori. I prodotti possono essere allora rappresentati come una sequenza di “job” che gli utilizzatori devono eseguire.
È possibile utilizzare uno schema simile a quello sottostante per collegare i job con le funzioni che i prodotti dovranno realizzare.


Definizione dell'architettura funzionale
Una volta identificate le funzioni da realizzare è possibile rappresentare l’architettura funzionale del prodotto. Ogni funzione è rappresentata da un modulo funzionale, che è attraversato da flussi di materia, energia o informazioni.


Definizione dei moduli e delle interfacce
Dall’architettura funzionale è possibile identificare i moduli fisici che realizzeranno le funzioni seguendo 2 regole fondamentali che definiscono i prodotti modulari:
  1. ogni funzione è realizzata da un solo modulo fisico (ogni modulo può invece realizzare più funzioni),
  2. le interfacce tra i moduli sono standardizzate, così che sia possibile sostituire un modulo con un altro equivalente (ma con prestazioni diverse).

Non esistono algoritmi che permettono di definire la miglior architettura fisica di un prodotto. È dunque necessario procedere in modo sperimentale tenendo conto di parametri quali:
  • necessità di personalizzazione,
  • velocità di evoluzione dei diversi elementi,
  • processo di costruzione,
  • catena di fornitura,
  • costi,
  • caratteristiche fisiche del prodotto (dimensioni, vicinanze, ...),
  • complessità delle configurazioni da gestire.

Si ottiene in questo modo una prima ipotesi di architettura modulare del prodotto a partire dai job-to-be.done.


Ogni modulo può allora essere visto come una black-box con comportamenti, prestazioni ed interfacce definite. È allora possibile sostituire un singolo modulo senza dover “rivedere” l’intero prodotto. Questo vale sia per personalizzazioni, sia per l’evoluzione tecnologica dei singoli moduli e fornisce dunque un'elevata flessibilità al prodotto.

sabato 27 maggio 2017

Intelligenza Artificiale: come funziona?



L’intelligenza artificiale è già intorno a noi in molti settori: dall’aeronautica al gaming, dal customer service ai mercati finanziari e ovviamente nelle linee produttive di alcune aziende. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha avuto una brusca accelerazione negli ultimi anni ed avrà conseguenze importanti in molti settori di business.

All’inizio l’intelligenza artificiale era innanzitutto una speculazione teorica e ruotava intorno alla domanda: “Le macchine possono pensare?”. Nel 1950 Alan Turing nel suo articolo "Computing Machinery and Intelligence" riformulò la domanda modificandola in modo significativo: "Le macchine sono in grado di imitare il comportamento intelligente di un essere umano?" (da qui il cosiddetto test di Turing ed il titolo del film "The imitation Game” del 2014).
Una definizione pragmatica di Intelligenza Artificiale prevede dunque la capacità di un computer di esibire comportamenti tipici della mente umana. In particolare un sistema intelligente deve essere in grado di elaborare conoscenze precedenti estrapolando le linee guida da utilizzare per risolvere con successo problemi che non ha mai affrontato.

Nel libro Artificial Intelligence: a modern approach di S.J. Russell (prima edizione con P. Norvig  del 1995, una vera bibbia dell'intelligenza artificiale) viene riportata una schematizzazione delle diverse aree applicative che costituiscono l’intelligenza artificiale.
Il tema è quanto mai ampio e complesso. Riporto di seguito una semplificazione di queste aree per fornire una prima base  per comprendere come funziona l’intelligenza artificiale.



Comunicare con linguaggio naturale
Un sistema intelligente è in grado di comunicare utilizzando un linguaggio naturale, cioè un linguaggio caratterizzato da una certa ambiguità intrinseca. Questo significa che il significato di ogni parola e frase può essere attribuito soltanto se il sistema è in grado di conoscere ed interpretare il contesto. Ad esempio la parola “dado” può significare dado da brodo, dado da gioco o dado per serrare le viti. Il corretto significato può dunque essere attribuito soltanto conoscendo il contesto del discorso.
Un agente intelligente in grado di utilizzare un linguaggio naturale può comunicare con le persone, con altri agenti intelligenti e può effettuare ricerche su internet.

Percepire
Un agente intelligente è in grado di rilevare informazioni dall’ambiente circostante tramite sensori di diverso tipo e di utilizzare i nuovi dati per migliorare la propria conoscenza dell'ambiente.

Rappresentare la conoscenza
Un agente intelligente è in grado di rappresentare oggetti, azioni, concetti e le rispettive relazioni. Conosce inoltre le regole per manipolarli, per inferire ragionamenti e per ampliare la propria conoscenza.
Un esempio ci viene dalle reti semantiche nelle quali i vertici rappresentano oggetti o concetti e sono collegati tra loro da legami semantici. Si possono allora costruire sillogismi ed altri ragionamenti logici semplicemente navigando la rete.



Pianificare i risultati delle azioni
I sistemi intelligenti sono in grado di comprendere i propri obiettivi, di prevedere gli stati futuri del loro universo conosciuto e di prendere decisioni al fine di raggiungere gli stati futuri maggiormente desiderabili, pianificando dunque le proprie azioni in modo da massimizzarne il “valore”.

Gestire l’incertezza
Gli ambienti dove gli agenti intelligenti operano, sono spesso estremamente complessi e prevedono la presenza contemporanea di più attori che agiscono in modo indipendente ed imprevedibile. In queste condizioni i sistemi intelligenti devono essere in grado di rappresentare l’incertezza, di prendere decisioni che ne tengano conto e che massimizzino la probabilità di raggiungere l’obiettivo desiderato, evitando allo stesso tempo i comportamenti con rischi troppo elevati.

Imparare (machine learning)
La definizione più pragmatica di machine learning è stata data da Tom M. Mitchell nel libro "Machine Learning" (1997). Semplificando la sua definizione formale si può dire che "un programma apprende se le sue performance migliorano con l'esperienza".
L'apprendimento automatico si basa sulla costruzione di algoritmi che possano riconoscere degli schemi in un insieme di dati e di comportamenti e sappiano quindi costruire in modo induttivo un modello in grado di "riconoscere" nuovi dati, adeguando in modo coerente il proprio comportamento.

Esistono due metodi fondamentali con i quali le macchine possono imparare:
  • Supervised learning: al sistema intelligente vengono forniti ingressi e corrispondenti uscite in modo che l’agente possa costruire euristicamente la funzione che trasforma gli ingressi in uscite. In questo modo al ricevimento di un ingresso mai ricevuto in precedenza, il sistema sarà in grado di determinarne l’uscita (un esempio è la classificazione di diversi input in classi predefinite dall'utilizzatore),
  • Unsupervised learning: al sistema intelligente vengono forniti soltanto dati di input tra i quali l'agente individua pattern e correlazioni (un esempio è il raggruppamento di diversi input in "gruppi" non definiti a priori dall'utilizzatore).

Per il continuo miglioramento del processo di apprendimento si possono utilizzare tecniche di:
  • Apprendimento per rinforzo: il sistema intelligente produce un output sulla base dell'input ricevuto, vi è poi un algoritmo in grado di misurare la bontà del risultato ottenuto assegnando una ricompensa o una punizione. Il sistema intelligente adatta quindi il proprio comportamento con l'obiettivo di massimizzare le proprie ricompense.
  • Deep learning: diversi meccanismi di apprendimento sono posti uno “sopra” l’altro, in modo che ognuno possa apprendere dai risultati del precedente. In questo modo si possono ottenere livelli di astrazione crescenti e conoscenze sempre più complesse.
Agire
La conoscenza permette di prendere decisioni, che nel caso dei robot diventano azioni. I robot devono dunque sapersi muovere in ambienti complessi ed interagire con oggetti diversi (e nuovi) ed in continuo movimento.

Questa schematizzazione è parziale, sintetica e semplificata, ma vuole essere un primo passo verso la comprensione del funzionamento dell'intelligenza artificiale, allo scopo di individuarne le possibili applicazioni nel mondo del business.

lunedì 15 maggio 2017

Creare valore con l'Internet of Things

Con l’arrivo dell’internet of things ogni prodotto può avere una propria vita sul web ed essere il nodo di un ecosistema in grado di gestire informazioni, anche complesse. 
L’introduzione di questa nuova tecnologia costituisce l’opportunità di creare più valore per i clienti e richiede alle imprese un cambiamento del modello di business. L’interazione tra cliente, prodotto ed azienda si protrae infatti nel tempo: ogni volta che il cliente utilizza un prodotto interconnesso, l’azienda viene coinvolta e deve “reagire”. Immaginiamo l’esempio, ormai classico, del termostato che impara: il produttore registra continuamente i dati sulla temperatura reale e desiderata in casa ed ogni volta che l’utilizzatore effettua una regolazione, l’azienda (un algoritmo) viene coinvolta e sceglie la strategia migliore per realizzarla.

Per la maggior parte delle imprese la vera sfida dell’IoT non è dunque tecnologica, ma è la ricerca di nuovi modi di creare valore per gli utilizzatori e di proporli attraverso business model adeguati.

Sulla base dell’esperienza fatta con alcuni progetti in settori diversi, riporto qui alcuni “paradigmi” a cui ispirarsi nella ricerca di modi di creare valore mediante l’interconnessione. Un’impresa che voglia avvicinarsi all’internet of things può provare ad immaginare se i propri prodotti possono:
  • Raccogliere informazioni: raccogliere dati istantanei sul funzionamento e/o sulla posizione e sullo stato dei prodotti e/o dell’ambiente circostante e riproporli sottoforma di grafici, mappe o altri strumenti che aiutino a comprendere meglio le modalità di utilizzo del prodotto (es. strumenti che registrano i dati di allenamento e li ripropongono su un portale o li condividono sui social),
  • Essere monitorati da remoto: raccogliere dati istantanei sul funzionamento e/o sulla posizione e sullo stato dei prodotti e/o dell’ambiente circostante ed effettuare il monitoraggio remoto del prodotto (es. manutenzione programmata basata sull'effettivo utilizzo),
  • Fornire informazioni durante il funzionamento: fornire suggerimenti sull’utilizzo dei prodotti basati sull’effettivo utilizzo e/o sullo stato attuale del prodotto e/o dell’ambiente (es. navigatore satellitare),
  • Essere comandati da remoto: eseguire tutte le funzioni di comando e regolazione da remoto (es. regolazione remota della temperatura),
  • Connettere più utenti: fornire informazioni istantanee a diversi utilizzatori che possano collaborare per il raggiungimento dell’obiettivo (ad es. sistema di allenamento che fornisca dati al preparatore atletico, che a sua volta possa modificare la resistenza o le regolazioni dell’apparecchio per ottimizzare l’allenamento),
  • Far giocare più utenti: connettere utenti che svolgono gli stessi compiti ed organizzare delle competizioni (ad es. conoscere i tempi e la posizione di tutti i ciclisti che in un determinato momento stanno facendo il mio stesso percorso),
  • Imparare dall’esperienza: interpretare le esigenze dell’utilizzatore e modificare il proprio comportamento sulla base dei risultati ottenuti nel passato in situazioni simili (ad es. termostato che impara a regolare la temperatura sulla base delle caratteristiche dell'ambiente e le abitudini dell'utilizzatore),
  • Imparare dall’esperienza condivisa: poter accedere alle informazioni su comportamenti e risultati ottenuti da prodotti simili in altri contesti (ad es. macchine utensili che imparano le regolazioni da altre macchine simili),
  • Automatizzare processi: ottimizzare processi sulla base di informazioni e decisioni locali (ad es. frenata automatica in caso di pericolo),
  • Collaborare: collaborare con altri prodotti intelligenti inviando e ricevendo richieste di modificare il proprio comportamento (ad es. smart grid per la distribuzione dell’energia elettrica).
Provare ad applicare questi modelli ai propri prodotti è spesso un punto di partenza efficace per immaginare come rendere più intelligenti i propri prodotti.

lunedì 1 maggio 2017

10 domande per sviluppare prodotti desiderabili

La scelta di un prodotto o di un servizio da parte dei clienti è un processo in gran parte inconscio, che coinvolge aspetti razionali ed emozionali. La valutazione si basa sia su aspetti tangibili (oggettivi, misurabili), che su aspetti intangibili (soggettivi, non misurabili).
Riprendendo e combinando numerosi studi e teorie (tra tutti cito: Emotional Design di Donald Norman, The meaning of things di Mihaly Csikszentmihaly, Jobs to be done: theory and practice di Anthony Ullwick), ho provato a riassumere le domande fondamentali che ognuno di noi si pone al momento di acquistare un prodotto o un servizio. 
Il processo di valutazione non è sequenziale e strutturato, ma le domande sono valide per ogni tipo di prodotto e di mercato. L’importanza relativa delle domande varia a seconda dei prodotti e dei potenziali acquirenti.

Ecco le domande che utilizziamo per valutare i prodotti e servizi:
  • Mi stupisce? L’attenzione è una risorsa scarsa, che viene dedicata soltanto ai prodotti che in qualche modo ci meravigliano. I prodotti “banali” rischiano infatti di non essere nemmeno presi in considerazione per una valutazione seria.
  • Mi serve? I prodotti aiutano gli utilizzatori a raggiungere i propri obiettivi: se voglio piantare un chiodo, mi servirà un martello. I prodotti vengono infatti scelti sulla base delle funzioni che possono eseguire.
  • Funziona bene? Quando acquista un prodotto, ogni cliente si chiede se sta scegliendo qualcosa che sarà veramente efficace, facile da utilizzare, sicuro ed affidabile.
  • Mi piace? Se sul mercato sono disponibili almeno due prodotti che svolgono le stesse funzioni in modo comparabile, la scelta si sposta sugli aspetti emozionali. Tutti noi cerchiamo infatti di acquistare prodotti belli da guardare, piacevoli da utilizzare e che ci facciano “stare bene”.
  • Che cosa dice di me? Ogni prodotto è anche inevitabilmente un “segno”, che comunica qualcosa di noi agli altri e che noi utilizziamo (consciamente o inconsciamente) per rappresentare noi stessi nella società.
  • Che cosa evoca? Per come funziona la nostra mente, ogni stimolo (quindi anche ogni prodotto) viene ricollegato ad esperienze pregresse per essere collocato nel nostro sistema di conoscenza. I prodotti che colleghiamo ad esperienze e conoscenze positive acquistano per noi più valore. Un esempio evidente di questo processo sono i souvenir che acquistiamo durante i viaggi e che hanno spesso soltanto valore evocativo.
  • È coerente con i miei valori? Indipendentemente da leggi, principi e religioni, ognuno di noi ha il senso di che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. I prodotti che utilizziamo devono essere coerenti con il nostro senso di giustizia. In questi ultimi anni ad esempio la sostenibilità dei prodotti è un elemento sempre più importante nelle decisioni d’acquisto.
  • Come entrerà nella mia vita? Sarà un prodotto “impegnativo”, che dovrò tenere con me molti anni e che richiederà molta manutenzione (ad esempio una casa) oppure sarà un prodotto “leggero”, che non richiederà molto impegno e non mi porrà vincoli. È evidente che più un prodotto è leggero, più facile sarà la decisione di acquistarlo.
  • Che cosa rischio? I prodotti che acquistiamo devono essere rassicuranti verso quello che è importante per noi: la salute, le proprietà, ma anche le abitudini e le idee.
  • Posso permettermelo? Il prezzo non è mai il primo elemento di valutazione di un prodotto. La risposta positiva alle domande precedenti può infatti alzare significativamente la soglia oltre la quale decidiamo che il prodotto sia troppo costoso per noi.

Conoscere questi elementi di valutazione aiuta le imprese ad ideare e sviluppare prodotti e servizi desiderabili.

martedì 18 aprile 2017

Gestire il portafoglio progetti

La scelta dei prodotti e servizi da sviluppare è una competenza di fondamentale importanza per le imprese. Le risorse per sviluppare nuovi prodotti e servizi sono infatti sempre scarse e devono essere dedicate ai progetti migliori.
Esistono diversi metodi per la gestione del portafoglio progetti, un buon libro su questo tema è ancora questo: Portfolio management for new products di Robert Cooper (2002). I metodi più efficaci a mio parere sono quelli di bilanciamento, che permettono di valutare le idee in modo omogeneo e di costruire una mappa che aiuta a prendere le decisioni.

Le idee possono essere valutate secondo 3 dimensioni principali:
  • Importanza strategica: quanto il progetto è importante per la sopravvivenza dell’azienda e/o per la realizzazione della sua strategia.
  • Probabilità di successo: quanto è alta la probabilità di riuscire a realizzare il prodotto nei tempi e nei costi desiderati e quanto è probabile che i clienti siano disposti effettivamente ad acquistarlo.
  • Importanza economica: quanto vale economicamente il progetto.

Le modalità di valutazione sono necessariamente diverse per ogni azienda. È però possibile utilizzare uno schema semplificato ed abbastanza generale come quello riportato qui sotto, che permette la costruzione di mappe efficaci (ogni potenziale progetto viene rappresentato da un post it posizionato sul tabellone).



Importanza strategica
Viene valutata combinando l’importanza del mercato (o del cliente) target e l’importanza dell’opportunità di business. Un’opportunità di business è considerata strategica se è strategica per il cliente, se permette di affrontare un nuovo segmento di mercato o di sperimentare nuove tecnologie.
La scala di valutazione è a due valori: strategico / non strategico. Il progetto si posiziona nei quadranti superiori per clienti strategici ed opportunità strategiche, nei quadranti inferiori per clienti ed opportunità non strategici e nei quadranti intermedi se soltanto una delle due valutazioni risulta strategica.

Probabilità di successo
La probabilità di successo è la combinazione della probabilità di successo tecnica e commerciale.
La probabilità di successo tecnica misura la fattibilità tecnica e la probabilità di rispettare i tempi ed i costi target.
La probabilità di successo commerciale misura la facilità di penetrazione del prodotto nel mercato e comprende valutazioni sul canale di vendita, sulle norme di riferimento, sui prodotti e servizi della concorrenza e sulla propensione all’acquisto dei clienti.
La scala di valutazione è a tre valori: alta / media / bassa. Il progetto si posiziona nei quadranti a destra se entrambe le probabilità di successo sono alte, nei quadranti a sinistra se almeno una delle probabilità di successo è bassa, altrimenti si posiziona nei quadranti intermedi.

Importanza economica
Viene valutata secondo il fatturato (o il profitto) previsto in un periodo di riferimento (ad es. 3 anni) o per il prodotto a regime. La scala è a tre livelli, con soglie definite dall’azienda. Ogni livello avrà un post-it di colore diverso sul tabellone.

Sulla base delle valutazioni di questi parametri, le opportunità vengono posizionate in uno dei 9 quadranti della mappa. Ogni quadrante è numerato secondo la priorità, suggerendo di assegnare priorità maggiori ai progetti che si posizionano nei quadranti con il numero più basso. Resta comunque una decisione del management selezionare i progetti da sviluppare partendo dalla mappa costruita.

sabato 1 aprile 2017

Canvas per azioni di miglioramento su prodotti e servizi esistenti

Un canvas ("canovaccio") in teatro è uno schema di riferimento che permette agli attori di costruire una storia, senza definirne a priori tutti i particolari, ma assicurando che gli elementi principali vengano sviluppati. Nel mondo liquido i canvas sono molto utili per guidare processi decisionali e migliorare la qualità di decisioni complesse.
Spesso i canvas si basano sul “buon senso” e questo è uno dei loro punti di forza: sono semplici ed efficaci. Un buon modo di utilizzare i canvas è quello di prenderli come riferimento durante le riunioni organizzate per prendere decisioni. Il canvas è uno strumento flessibile: non è necessario che la riunione segua una scaletta precisa, né che le informazioni vengano raccolte in modo predeterminato. È invece importante che tutti gli elementi del canvas vengano affrontati e che quindi alla fine dell’incontro si possa prendere una decisione oppure si possano richiedere degli approfondimenti.

Di seguito si trova un canvas che può essere utilizzato per decidere se apportare un miglioramento a un prodotto o un servizio esistente. Il miglioramento continuo dei prodotti e dei servizi è infatti fondamentale per prolungarne il ciclo di vita e/o per ridurre i costi, ma a volte viene affrontato in modo improvvisato. Il canvas, insieme al coinvolgimento delle persone giuste, può aiutare a rendere più efficaci le riunioni per valutare le proposte di miglioramento.



L’utilizzo del canvas è molto semplice:
  • Ipotesi di miglioramento: viene descritta in modo sintetico e comprensibile la modifica che si propone di apportare al prodotto o servizio
  • Pro: vengono identificati tutti i fattori a favore della modifica, sia esterni (cliente, canale, …), che interni (produzione, logistica, riduzione di rischi, …)
  • Contro: vengono identificati tutti gli eventuali fattori contro la modifica, sia esterni (cliente, canale, …), che interni (produzione, logistica, riduzione di rischi, …)
  • Delta Costi: viene fatta una stima delle eventuali variazioni dei costi variabili del prodotto o servizio (materiali, lavorazioni, scorte, …)
  • Delta fatturato: viene fatta una stima delle eventuali variazioni del fatturato, che deriveranno normalmente da modifiche nei volumi e nei prezzi di vendita
  • Investimenti: viene fatta una stima degli eventuali investimenti necessari alla realizzazione della modifica (progettazione, attrezzature, omologazioni, pubblicità, …)
  • Rischi: vengono identificati gli eventuali rischi sia nel progetto di introduzione della modifica, sia a causa della modifica stessa
  • Note / vincoli: vengono identificati eventuali vincoli o altre informazioni che emergono durante il processo decisionale
  • Azioni: l’obiettivo del canvas è quello di aiutare a prendere decisioni corrette. L’ultimo elemento del canvas è proprio l’identificazione delle azioni necessarie per la realizzazione di quanto deciso.
Nel suo utilizzo più agile, il canvas è uno schema mentale e non richiede che venga compilato alcun documento (nemmeno il canvas stesso). In alternativa il canvas stesso con alcune informazioni scritte in tempo reale durante la riunione, può diventare il verbale della riunione ed il documento che autorizza le azioni definite. 

domenica 19 marzo 2017

Micro-pianificazione: rendere efficaci le riunioni di sprint

Lavorare per sprint significa pianificare in modo dettagliato le attività in un intervallo di tempo molto breve (ad es. 1 o 2 settimane). Al termine del quale si verificano i risultati raggiunti e si pianificano le attività per lo sprint successivo. 

Gli sprint sono molto utili per dare il ritmo ai progetti. Ogni sprint inizia con una riunione che ha l'obiettivo di definire i risultati da ottenere nel corso dello sprint stesso. 
Per massimizzare l'efficacia di queste riunioni è necessario applicare (almeno) queste 3 regole fondamentali:
  1. Partecipanti: Alla riunione di sprint partecipano coloro che eseguiranno le attività,
  2. Pianificazione: La pianificazione deve essere realistica,
  3. Discussione: Focalizzare la discussione sui risultati da ottenere e non sul modo di ottenerli,
1. Partecipanti
Alle riunioni di sprint devono partecipare coloro che eseguiranno le attività, perchè nessuno è in grado di pianificare in dettaglio il lavoro meglio di chi lo dovrà eseguire.

2. Attività
E' importante essere molto "realisti" nel prendersi in carico le attività: l'orizzonte è breve e la pianificazione deve essere affidabile. Un'attività non eseguita al termine dello sprint dovrebbe essere un piccolo dramma e richiedere una giustificazione valida.
Per questo motivo è necessario considerare anche gli inevitabili imprevisti ed impegnare soltanto una percentuale delle ore disponibili totali (ad es. lasciando un giorno alla settimana alle attività non pianificabili).

3. Discussione
Per essere efficaci è necessario "allenarsi" a:
  • definire in modo preciso i risultati che saranno a disposizione al termine dello sprint,
  • indicare le criticità ed i rischi nel raggiungimento dei risultati dichiarati,
  • non discutere del modo con il quale le attività verranno eseguite,
  • non discutere delle caratteristiche del prodotto da realizzare (requisiti, soluzioni, costi, ...).
Di seguito alcuni esempi di dialogo nel corso di una riunione di sprint:

ESEMPIO 1
  • "Devo completare i piani di test ed eseguire i test di usabilità." (CORRETTO: Descrizione sintetica dei risultati da ottenere)
  • "Ho già individuato 3 utilizzatori, me ne mancano ancora 2. Ho chiesto all'ufficio commerciale di trovarli con urgenza." (CORRETTO: indicazione di una criticità e delle azioni per risolverla)
  • "Ogni utilizzatore dovrà venire da noi una mezza giornata per eseguire il piano di test." (SBAGLIATO: Descrizione di come verrà eseguita l'attività. Non è questa la sede adatta.)
  • "Non sono ancora sicuro se fargli utilizzare il laboratorio o mettere i prototipi in una sala riunioni." (SBAGLIATO: Descrizione della soluzione tecnica da adottare. Non è questa la sede adatta.)
ESEMPIO 2
  • "Devo continuare nella produzione dei disegni." (SBAGLIATO: gli obiettivi non sono chiari)
ESEMPIO 3
  • "Devo lanciare l'ordine dello stampo per il guscio superiore" (CORRETTO: obiettivo da raggiungere definito in modo preciso)
  • "C'è un dentino molto piccolo, che può rendere instabile l'aggancio" (CORRETTO: indicazione di una criticità)
  • "Si potrebbe aumentarne la sporgenza di un millimetro e ridurre la curvatura..." (SBAGLIATO: Discussione della soluzione tecnica. Non è questa la sede adatta.)
E' possibile utilizzare un supporto visuale per la gestione degli sprint, come quello rappresentato nella figura sottostante.


Nel riquadro a sinistra vengono messi i post-it con le attività da eseguire, ma non ancora prese in carico dal team. Nel riquadro centrale ci sono le attività da eseguire nel corso dello sprint, suddivise per responsabile. A destra invece vengono spostate le attività mano a mano che vengono completate.
Le eventuali attività urgenti che debbano essere eseguite pur non essendo state pianificate all'inizio dello sprint vengono rappresentate con dei post-it di colore diverso.

Un tabellone visuale in formato A0 per la gestione degli sprint è disponibile qui per il download.

domenica 5 marzo 2017

Il piano delle milestone aziendali

Nello svolgimento di ogni progetto vi sono degli eventi chiave ("milestone"), che permettono di caratterizzarne la timeline. Le milestone possono essere immaginate come le stazioni in un percorso ferroviario: permettono di pianificare il viaggio, indicano in modo chiaro il raggiungimento di un certo punto ed aiutano a stimare il tempo necessario.
Nei progetti le milestone rappresentano (anche combinandoli tra loro):
  • il raggiungimento di un risultato (ad es. la validazione del prototipo),
  • l'avvio di un'attività (ad es. inizio la campagna di marketing),
  • una decisione importante (ad es. ordinare gli stampi per la produzione).
Il primo passo nella pianificazione dei progetti è spesso l'identificazione delle milestone principali, partendo dalla data di completamento desiderata e procedendo all'indietro.
Ad esempio nello sviluppo di un nuovo prodotto è possibile costruire questa sequenza di milestone:


Le milestone principali rappresentano spesso anche gli "impegni" dei team di progetto nei confronti dell'azienda. In altri termini, i team di progetto avranno la libertà di organizzarsi come preferiscono, a patto di rispettare le milestone principali concordate.

E' allora utile creare un piano aziendale delle milestone, che contenga le principali scadenze di tutti i progetti e ne permetta il controllo ad alto livello. La figura seguente rappresenta uno strumento visuale per gestire il piano delle milestone. 
Nelle righe ci sono i progetti, le colonne rappresentano la scala temporale (ad es. le settimane). 
I post-it nelle celle rappresentano invece le milestone principali dei diversi progetti. Colori diversi rappresentano diversi tipi di milestone.



Questo tabellone è il supporto ideale agli incontri periodici tra le diverse funzioni ed i project manager per gestire le scadenze principali di tutti i progetti.

Un tabellone visuale in formato A0 è disponibile qui per il download.

domenica 19 febbraio 2017

Vantaggi e svantaggi degli strumenti visuali

Nel mondo liquido tutte le cose cambiano velocemente. Per muoversi in fretta senza fare errori, è necessario utilizzare in azienda approcci e strumenti adeguati, che coniughino efficacia, flessibilità e leggerezza.

Per questo motivo negli ultimi anni si sono diffusi numerosi strumenti di visual management. Rispetto agli strumenti “classici”, quelli visuali presentano vantaggi e svantaggi.

I vantaggi principali degli strumenti visuali sono:
  • Maggiore sinteticità ed immediatezza nel rappresentare le informazioni (un’immagine vale più di mille parole): l’utilizzo di forme visibili invece che di parole e concetti attiva meccanismi cerebrali diversi e permette di rappresentare immediatamente la visione d’insieme.
  • Maggiore efficacia nella comunicazione: gli strumenti visuali sono più chiari (meno fraintendimenti), si ricordano meglio, superano le barriere linguistiche e sono sempre disponibili (appesi al muro, invece che nella memoria di un computer).
  • Maggiore concretezza: essendo estremamente flessibili, permettono di rappresentare esattamente quello che serve al team che li utilizza, adattando il linguaggio al contesto di utilizzo. Avendo d’altra parte una struttura definita, rendono più concrete ed efficaci le riunioni stesse.
  • Maggior coinvolgimento emotivo: gli strumenti visuali vengono utilizzati durante gli incontri di discussione e condivisione delle informazioni, rendendo più efficaci questi momenti e favorendo il coinvolgimento attivo dei partecipanti.
  • Miglior qualità delle decisioni: tutti i vantaggi precedentemente elencati portano al miglioramento della qualità delle decisioni prese dai team.
  • Riduzione del tempo necessario alla gestione ed all’aggiornamento: gli strumenti visuali vengono utilizzati in tempo reale durante le riunioni e registrano immediatamente le informazioni scambiate e le decisioni prese. Al termine della riunione sono in effetti già aggiornati.

I principali svantaggi degli strumenti visuali consistono in:
  • Semplicità (a volte eccessiva) dei modelli utilizzati: la necessità di rappresentare graficamente le informazioni e l’assenza di automatismi per il calcolo e l’aggiornamento, impone l’utilizzo di modelli semplici, che in alcuni casi non riescono a rappresentare in modo analitico situazioni molto complesse.
  • Difficoltà di utilizzo per team distribuiti geograficamente: in questi casi tabelloni cartacei e post-it non sono sufficienti. Sono invece necessari strumenti informatici adatti a gestire tabelloni visuali.
  • Difficoltà di trovare spazi fisici adeguati: l’utilizzo di board visuali molto grandi richiede la disponibilità di pareti o supporti adeguati, in grado di garantire anche la riservatezza delle informazioni.
Si possono infine individuare 4 regole generali per l’utilizzo degli strumenti visuali:
  • il board appartiene al team,
  • il board è lo strumento per la discussione
  • il board deve essere sempre visibile dove serve
  • don’t kill efficacy with standardization.
L'utilizzo di visual boards per gestire l'innovazione dei prodotti e dei servizi è ormai molto diffuso e nei prossimi post presenterò alcuni strumenti utili per favorire l'innovazione liquida.

sabato 4 febbraio 2017

La segmentazione del mercato (III): il modello OCEAN e l’elezione di Trump

Nel 2008 un ricercatore polacco, di nome Michal Kosinski, pensò di utilizzare le nostre tracce informatiche per classificare i diversi tipi di personalità e quindi prevedere i nostri comportamenti. Diffuse su Facebook un questionario per costruire il profilo psicologico di chi avesse accettato di compilarlo e poi analizzò i loro “like”, cercando delle correlazioni. La crescita strepitosa di Facebook in quegli anni giocò in suo favore e milioni di persone risposero al suo questionario. Kosinski riuscì così a costruire un modello in grado di correlare i "like" con i profili psicologici.
Nel 2012, Kosinski dimostrò che sulla base di una media di 68 "like", è possibile prevedere il colore della pelle di una persona con il 95 per cento di precisione, il suo orientamento sessuale (precisione 88 per cento) e la sua appartenenza a il partito democratico o repubblicano (85 per cento). Analogamente è possibile determinare il quoziente di intelligenza, l’appartenenza religiosa ed il consumo di alcool, sigarette e droghe.

Questo modello può oggi essere utilizzato in due modi:
  • risalire dai like alla personalità e quindi ricercare persone con certe caratteristiche psicologiche partendo dalle loro tracce informatiche,
  • prevedere che cosa può piacere ad una persona con un certo profilo psicologico
Tutto questo è descritto molto bene in questo video di Alexander Nix, fondatore di Cambridge Analytica, una società di comunicazione basata sui big data. Sembra che queste tecniche siano state utilizzate sia nella campagna elettorale di Trump, che nel referendum inglese sulla Brexit per fornire messaggi personalizzati alle singole persone. Si può leggere l'intera storia qui.

A questo proposito si dovranno fare importanti di riflessioni sull’utilizzo dei big data, sulla forza della comunicazione e sull’importanza della privacy. È però anche interessante comprendere quale modello di segmentazione psicografica sia stato utilizzato per costruire i profili psicologici degli utenti.

Si tratta del modello chiamato OCEAN, da Openness to experience, Conscientiousness, Extraversion, Agreeableness, and Neuroticism. Il modello fu sviluppato a partire dagli anni 80 da diversi ricercatori e si basa sull’utilizzo dei 5 fattori appena elencati per descrivere le diverse personalità.

  • Apertura (curiosità vs prudenza): le persone aperte sono creative e curiose, ricercano emozioni intense e stimoli intellettuali. Al contrario le persone poco aperte privilegiano la tranquillità, la prudenza e la perseveranza. Le persone estremamente aperte possono essere imprevedibili e defocalizzate, mentre le persone estremamente prudenti possono essere di mentalità chiusa e contrarie ad ogni progresso.
  • Coscienziosità (efficienza vs negligenza): Le persone coscienziose tendono ad essere organizzate ed affidabili e preferiscono la pianificazione alla spontaneità. Le persone poco coscienziose amano invece la flessibilità e l’improvvisazione. Ad un estremo della coscienziosità si trova la testardaggine, mentre all’altro si trovano sciatteria ed inaffidabilità.
  • Estroversione (socievolezza vs individualismo): Le persone estroverse cercano energia e stimoli nella compagnia di altre persone, mentre quelle introverse tendono ad essere più riflessive e meno capaci di comunicare. Ad un estremo troviamo la ricerca smodata di attenzione e la prevaricazione, mentre all’altro ci sono isolamento e solitudine.
  • Amabilità (compassione vs antagonismo): Le persone amabili tendono ad essere compassionevoli e fiduciose piuttosto che sospettose e antagoniste verso gli altri. L’elevata amabilità sfocia nella ingenuità o nella sottomissione, mentre all’altro estremo troviamo competitività e sospettosità.
  • “Nevroticità” (stabilità vs instabilità). La nevroticità è la tendenza a sperimentare facilmente emozioni non controllabili quali rabbia, ansia e depressione. Nevroticità si riferisce anche al grado di stabilità emotiva e al controllo degli impulsi. Ad un estremo si trovano l’indifferenza ed il disinteresse, mentre all’altro estremo vi sono personalità estremamente reattive ed insicure.
La comprensione dei diversi tratti della personalità descritti dal modello OCEAN è dunque molto potente e permette di ideare prodotti e servizi che soddisfano in modo preciso le esigenze delle diverse categorie di utilizzatori. Mi sembra inoltre che utilizzato in questo ambito, il modello OCEAN non ponga i problemi etici presenti nell'utilizzo nella comunicazione (ed in particolare nella comunicazione per fini elettorali).

Per chi fosse curioso di conoscere il proprio profilo secondo il modello OCEAN, ci sono diversi test disponibili online (gratuiti ed in inglese). Io segnalo questo: http://www.personalitytest.org.uk/

sabato 21 gennaio 2017

Se hai fretta, siediti a pensare

Siamo sempre in ritardo!
Ad ogni avanzamento di progetto, spostiamo avanti le scadenze!

L’azienda è tra i leader mondiali nel suo settore, opera in un mercato con una forte stagionalità ed un’elevata concorrenza. Ogni prodotto lanciato in ritardo regala un piccolo spazio in più ai concorrenti.
C’è un po’ di rassegnazione nei confronti di questi ritardi. Ogni ritardo in fondo ha una motivazione precisa e valida: “Il fornitore non ha consegnato i campioni”, “Abbiamo trovato un baco nel software”, …

Come fare a ridurre i ritardi?

Innanzitutto bisogna comprendere che i ritardi si possono ridurre soltanto prevenendoli: quando un ritardo si è verificato, è già troppo tardi. È necessario dunque prevedere i possibili ritardi ed agire in modo da ridurre la probabilità che si verifichino. Questo è un modo di pensare molto poco naturale per l’uomo, che invece tenderebbe a reagire ai problemi mano a mano che si presentano e diventano reali.

Di seguito un elenco di azioni concrete che si possono attivare per ridurre i ritardi nello sviluppo dei nuovi prodotti.



PROJECT MANAGEMENT
  • Estendere il perimetro dei team di progetto: spesso i ritardi avvengono al di fuori del team di progetto, che è generalmente molto sensibile al rispetto delle scadenze. Può essere allora utile estendere i team, facendovi partecipare tutte le persone che possono influire sul rispetto dei tempi (ad es. acquisti, produzione, …).
  • Migliorare la qualità dei piani di progetto: introducendo diversi livelli di pianificazione, mantenendo aggiornati i piani ed organizzando riunioni di avanzamento periodiche, che coinvolgano l’intero team.
  • Lavorare per sprint: gli sprint permettono una pianificazione agile ed una forte focalizzazione del team verso i risultati da raggiungere.
  • Migliorare la capacità di stimare i tempi necessari: sottostimare i tempi di progetto non soltanto crea false aspettative per il lancio dei prodotti, ma impedisce un’organizzazione efficiente delle diverse attività del progetto.

OTTIMIZZAZIONE DEL PROCESSO DI SVILUPPO DEI NUOVI PRODOTTI
L’unico modo per essere veloci nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti è fare tutte le attività necessarie, nella giusta sequenza (spesso iterativa). Tutte le apparenti “scorciatoie” introdurranno ritardi e costi aggiuntivi maggiori.
  • Migliorare la definizione progressiva dei requisiti: non è possibile definire tutti i requisiti prima di iniziare la progettazione. È però necessario allineare la definizione dei requisiti con le altre attività, procedendo con lo sviluppo mano a mano che i requisiti divengono stabili.
  • Testare meglio i prodotti, durante l’intero ciclo di sviluppo: preparare ed eseguire piani di test intelligenti, da eseguire sin dalle prime fasi di sviluppo, permette di individuare e correggere precocemente eventuali problemi tecnici e di risparmiare molto tempo.
  • Anticipare l’avvio dei progetti: preparare un piano strategico dei prodotti ed anticipare il più possibile l'avvio effettivo dei progetti.
  • Ridurre la durata delle prime fasi dei progetti: le prime fasi dei progetti sono caratterizzate da elevata incertezza e mancanza di scadenze precise. Per questi motivi tendono ad allungarsi molto. È dunque conveniente applicare dei meccanismi per facilitare le decisioni e stabilire delle deadline precise.
  • Eseguire in anticipo le attività di ricerca: separare la ricerca dallo sviluppo permette di acquisire in anticipo le competenze tecnologiche necessarie e di ridurre quindi la durata dei progetti.

COINVOLGERE I FORNITORI
La velocità deve essere estesa a tutto l’ecosistema coinvolto nello sviluppo dei nuovi prodotti. È inutile essere veloci e flessibili, se i fornitori rallentano o irrigidiscono il processo.
  • Selezionare fornitori adeguati: selezionare i fornitori non soltanto sulla base del prezzo di acquisto, ma tenendo conto anche della loro capacità di essere partner efficaci, veloci ed affidabili nello sviluppo dei nuovi prodotti.
  • Coinvolgere prima e meglio i fornitori: spesso i fornitori hanno competenze che in azienda non ci sono, è dunque estremamente utile coinvolgerli precocemente nello sviluppo dei prodotti, sia per la definizione degli aspetti tecnici, che per dare loro la possibilità di organizzare al meglio le loro attività.

GESTIONE DELLE PRIORITà E DELLE EMERGENZE
Se tutti i progetti sono prioritari ed urgenti, nessuno è veramente prioritario, né veramente urgente.
  • Assegnare le priorità ai progetti in modo intelligente: utilizzare tecniche di project portfolio management per confrontare tra loro in modo omogeneo i diversi progetti ed assegnare le priorità.
  • Non sovraccaricare la struttura: troppi progetti contemporaneamente attivi generano inefficienze, errori ed un allungamento generalizzato dei tempi di sviluppo. È meglio invece mantenere un’elevata velocità di attraversamento del processo di sviluppo, focalizzandosi sui progetti a priorità massima, che altrimenti verrebbero rallentati da altri a priorità più bassa.
  • Focalizzarsi sullo sviluppo di funzionalità e caratteristiche importanti per il mercato: è necessario ridurre l’impegno di risorse per la realizzazione di elementi poco importanti. È utile a questo scopo verificare precocemente i requisiti da realizzare con i clienti, utilizzando ad esempio tecniche di minimum viable product.
  • Filtrare ed attenuare le emergenze: ogni emergenza ha un costo molto elevato per l’azienda: interruzione e ripresa delle attività in corso, ritardi, possibilità di errori, necessità di ripianificare, difficoltà nell’organizzazione del lavoro ed insoddisfazione delle persone. Le emergenze devono dunque essere ridotte al minimo: chi le richiede deve essere conscio di questi costi ed opportuni filtri devono essere messi in opera per ridurne il numero e l’impatto.

RIDURRE GLI ERRORI
  • Prevedere i possibili malfunzionamenti e guasti: anticipare i possibili problemi tecnici dei prodotti è il modo migliore per ridurne l’impatto. Esistono diversi metodi per farlo: dalla FMEA, fino ad un semplice brainstorming tra tecnici.
  • Comunicare meglio: la scarsa comunicazione è alla base di molti errori durante il processo di sviluppo dei nuovi prodotti. I modi per comunicare sono molteplici e vanno dalla stesura di documenti fino all’organizzazione di riunioni. Di fondamentale importanza sono la capacità di scelta dei canali di comunicazione, di sintetizzare le informazioni rispetto agli interessi di chi ascolta e l’utilizzo di strumenti visuali.
  • Verificare le soluzioni prima di applicarle: spesso prendersi del tempo per valutare se la soluzione ipotizzata è effettivamente la migliore permette di anticipare errori, che potrebbero causare importanti costi e ritardi, se scoperti in seguito. Questo è particolarmente importante per le decisioni prese in condizioni di emergenza.

GESTIONE DEL TEMPO
  • Ridurre le attività a basso valore aggiunto: Ogni persona ha una discrezionalità più o meno ampia nella gestione del proprio tempo lavorativo, è dunque necessario che sia in grado di valutare il valore e l’urgenza delle attività che gli vengono richieste. Soltanto in questo modo sarà possibile completare in modo efficace “l’ultimo miglio” della pianificazione.
  • Assegnare le attività “impreviste” alle persone giuste: riuscire a bilanciare il carico di lavoro con le risorse e le conoscenze disponibili è molto difficile. Spesso per l’indisponibilità immediata di una risorsa, alcune attività vengono assegnate a persone che devono impiegare molto tempo per reperire le informazioni necessarie. Questo genera inefficienza (e quindi potenzialmente ritardi) e va dunque valutato attentamente.