lunedì 8 dicembre 2014

Il valore dei prodotti

Il prezzo di un prodotto o di un servizio è uno dei principali elementi su cui si basano le decisioni d’acquisto. Chi acquista deve infatti decidere dove allocare le proprie risorse limitate per raggiungere un mix complesso di obiettivi. Semplificando al massimo, per decidere se acquistare o meno, l’acquirente attribuisce un valore al prodotto e verifica che questo valore sia coerente con il prezzo fissato dal venditore e con le risorse che ha a disposizione.

Nella decisione d’acquisto interagiscono quindi tre variabili indipendenti: il valore, assegnato dal cliente, il prezzo, stabilito dall’impresa e la disponibilità di risorse.

La definizione del prezzo è una leva molto efficace per il profitto aziendale, ma complessa da utilizzare. Per definire il prezzo il produttore dovrebbe infatti tenere conto di 3 elementi principali:
  • Il valore che i clienti assegneranno al prodotto,
  • La strategia aziendale (ad es. per una strategia di penetrazione del mercato bisogna scegliere un prezzo sensibilmente inferiore al valore),
  • Il costo del prodotto, che fissa il limite inferiore al prezzo (ma non al valore!).
Ognuno di questi elementi presenta dei fattori di complessità significativi. Cerchiamo allora innanzitutto di capire come i clienti assegnano il valore ai prodotti.

Chiariamo subito che nessuna scelta d’acquisto è puramente razionale: non è possibile analizzare uno per uno gli elementi di valore del prodotto e fare un calcolo analitico per determinarne il valore complessivo. L’assegnazione di valore ad un prodotto è un processo in gran parte inconscio nel quale si combinano in modo difficilmente prevedibile molti fattori diversi. 
Vediamo i principali elementi che contribuiscono a determinare il valore di un prodotto.

Valore tangibile del prodotto
Il valore tangibile del prodotto è formato essenzialmente da 3 elementi:
  • I potenziali benefici economici derivanti dall’utilizzo del prodotto
  • La stima del valore del prodotto in caso di rivendita
  • La percezione del costo del prodotto
In alcuni casi questi elementi sono relativamente semplici da stimare ed importanti nella decisione d’acquisto. L’acquisto di una nuova macchina utensile si basa spesso sulla stima del ritorno dell’investimento, così come l’acquisto di una casa è influenzato dalla stima del valore in caso di rivendita. Ai prodotti da agricoltura biologica viene assegnato un valore maggiore anche in virtù dell’idea diffusa che la loro produzione sia più costosa.
In altri casi il valore tangibile del prodotto non è facilmente determinabile (ad es. nell’acquisto di nuovi mobili per ufficio) o non è importante nella decisione (ad es. nell’acquisto di sigarette).
In nessun caso comunque il valore tangibile del prodotto è l’unico parametro considerato nella decisione d’acquisto.

Valore intangibile del prodotto
Un altro componente importante del valore del prodotto è quello che viene chiamato valore “intangibile” e che in molti casi può essere suddiviso in:
  • Valore emozionale (mi fa stare bene): ad es. se acquisto un capo d’abbigliamento che mi piace,
  • Valore simbolico (mi permette di esprimere me stesso): ad es. se compro un capo di abbigliamento firmato.
  • Valore di auto-realizzazione (mi permette di avvicinarmi allo scopo ultimo dell’esistenza): ad es. se compro un capo d'abbigliamento dal commercio equo e solidale.
Abbiamo già parlato di questi concetti ne La quadruplice vita del prodotto. Qui vale soltanto la pena di ricordare che spesso il valore intangibile non si trova nel prodotto “fisico”, ma proviene da altri fattori, il primo dei quali è “chi mi sta proponendo il prodotto”, ovvero il marchio che sta dietro il prodotto stesso.

Valore per confronto
La nostra mente associa continuamente i nuovi stimoli con le conoscenze già acquisite, per ricondurli a schemi noti. Questo avviene anche nel processo di assegnazione del valore ad un prodotto.
Il confronto può avvenire tra:
  • Prodotti simili: come quando al supermercato si confrontano diversi detersivi ed entrano in gioco gli elementi di valore tangibili ed intangibili del prodotto considerati precedentemente.
  • Schemi mentali simili: mi è rimasta impressa la storia raccontata da uno psicologo che aveva fissato tariffe molto basse in modo da essere competitivo rispetto ad altri psicologi. Un cliente gli contestò invece il fatto che “era troppo caro” ed analizzando il perché, risultò che il confronto veniva fatto con le lezioni di piano della figlia, che erano sempre pagate con tariffa oraria. In questi casi il confronto viene fatto secondo i modi con i quali il potenziale acquirente ripartisce le proprie risorse.
Il confronto è un elemento determinante nell’assegnazione del valore e nella maggior parte dei casi attiva un corto circuito mentale quasi deterministico: se esistono più prodotti che vengono percepiti come simili tra loro, il valore di riferimento sarà il prezzo del prodotto più economico.

Valore nel contesto
Un ulteriore elemento che influenza l’attribuzione di valore è il contesto nel quale sta avvenendo la decisione d’acquisto. In particolare il valore attribuito ad un prodotto non è costante nel tempo ed è sicuramente influenzato da:
  • Eventi (precedenti o futuri): un cliente che abbia appena acquistato una macchina utensile molto costosa, potrebbe voler risparmiare sull’acquisto dei mobili per gli uffici. Una cucina può avere un valore elevato per chi sta per sposarsi ed un valore nullo per chi ne ha appena comperata una.
  • Urgenza del bisogno e disponibilità di alternative: un bicchier d’acqua in mezzo al deserto può avere un valore molto più elevato che in città.
  • Stato d’animo del potenziale acquirente: le persone di buon umore sono disposte ad attribuire maggior valore agli oggetti che acquistano ed a prendere decisioni d'acquisto più rischiose,
Tutti questi fattori contribuiscono a determinare il valore assegnato al prodotto dai potenziali acquirenti. Tenerne conto è di fondamentale importanza, anche se particolarmente complesso, in particolare perchè abbiamo visto che il valore viene attribuito attraverso un processo in gran parte inconscio e non esistono algoritmi per calcolarlo.

domenica 23 novembre 2014

Internet of Things: tutti ne saremo coinvolti

Due nuovi report confermano che la vendita di prodotti e servizi legati all’Internet of Things continuerà a crescere anche nei prossimi anni. 
IDC sostiene che il mercato globale dell’internet of things crescerà dai 1300 miliardi di dollari del 2013 (!) ai 3040 miliardi nel 2020, con una crescita annua del 13%. 
Gartner invece prevede che si passerà dai 4,9 miliardi di dispositivi connessi a internet nel 2015 ai 25 miliardi nel 2020, con una corrispondente crescita da 69,5 a 263 miliardi di dollari nei servizi legati all’internet of things. I mercati maggiormente coinvolti in questa crescita saranno: consumer (con 13 miliardi di dispositivi previsti nel 2020), automotive (3,5 miliardi di dispositivi connessi nel 2020), utilities (1,7 miliardi di dispositivi) ed a seguire manufacturing, transportation e government. 
Entro pochi anni dunque in molti mercati i prodotti non connessi ad internet perderanno valore, lasciando il posto a nuovi prodotti intelligenti ed interconnessi. Questa rivoluzione riguarderà tutti ed avrà impatti sia sulle nostre vite, che sul business delle aziende per le quali lavoriamo. È dunque importante comprendere che cos’è l’internet of things e definire una strategia di approccio adeguata. 

Che cos’è l’internet of things? 
È una rete di prodotti intelligenti ed interconnessi, in grado di conoscere il proprio stato, di raccogliere dati dall’ambiente circostante, di comunicare e di elaborare informazioni.
Da un punto di vista fisico i prodotti si arricchiscono quindi di sensori, di porte di comunicazione e della capacità di elaborare informazioni, che può essere integrata nel prodotto o accessibile via web. Nasce quindi anche quello che si può chiamare “product cloud” (si veda la figura successiva) e che è l’insieme di quello che serve per la gestione delle informazioni di prodotto (database, strumenti di analisi dei dati, algoritmi di decisione, …). 


I prodotti si pongono dunque al centro di uno o più flussi di informazioni che prima non esistevano e che costituiscono la base per ideare nuovi modi di creare valore. 
I flussi di informazioni che attraversano i prodotti possono svilupparsi: 
  • dai prodotti verso uno o più enti erogatori di servizi,
  • da enti erogatori di servizi verso uno o più prodotti,
  • tra prodotti.
Mediante questi flussi di informazioni le imprese potranno ad esempio: 
  • sapere chi sta utilizzando i loro prodotti, quando, in che modo ed in quale contesto,
  • erogare servizi personalizzati in tempo reale agli utilizzatori,
  • costruire relazioni più profonde con i clienti.
Perché internet of things sta esplodendo adesso?
Una serie di innovazioni tecnologiche sta contribuendo a rendere tecnicamente ed economicamente realizzabili i prodotti intelligenti ed interconnessi. 
Tra questi vi sono la miniaturizzazione degli strumenti di elaborazione dati, la disponibilità di sensori, la durata delle batterie, la disponibilità di connettività wireless, l’esistenza di nuove piattaforme di sviluppo software veloci ed affidabili e di strumenti potenti di analisi dei dati. 

Creare valore 
Analizzando che cosa possono fare i prodotti intelligenti ed interconnessi, si possono individuare 5 diversi modi attraverso i quali l’internet of things può creare nuovo valore per gli utilizzatori (ognuno dei quali costituisce la base per quello successivo): 
  1. Monitoraggio: la raccolta di dati sullo stato interno e sull’ambiente esterno permette di eseguire il monitoraggio remoto del funzionamento del prodotto. Si possono dunque ricevere informazioni sul cambiamento delle condizioni di funzionamento (ad es. allarmi), migliorare i servizi di manutenzione preventiva, semplificare il processo di identificazione dei guasti ed in alcuni settori (ad es. in quello medicale o nella sicurezza degli edifici) fornire al cliente nuove opportunità di utilizzo dei prodotti. 
  2. Controllo: i prodotti intelligenti possono essere comandati a distanza sia manualmente, che per mezzo di algoritmi complessi. È dunque possibile ad esempio utilizzare lo smartphone per accendere o spegnere un elettrodomestico, così come regolare la temperatura in casa per mezzo di un algoritmo che risiede nel product cloud. 
  3. Autonomia: l’intelligenza dei prodotti, unita alla conoscenza del contesto di utilizzo permettono ai prodotti raggiungere elevati livelli di autonomia nel prendere alcune decisioni. Le automobili possono ad esempio frenare da sole in caso di pericolo, i semafori cambiare stato in modo intelligente per ottimizzare i flussi di traffico. 
  4. Apprendimento: il comportamento dei prodotti intelligenti può essere molto complesso e la loro programmazione potrebbe essere difficile. È possibile però sviluppare  prodotti in grado di imparare dall’utilizzo. Esistono ad esempio macchine utensili che migliorano i propri settaggi man mano che acquisiscono “esperienza” nelle condizioni di utilizzo reali. Analogamente esistono sistemi di regolazione della caldaia domestica, che imparano le abitudini della famiglia. 
  5. Collaborazione: quando oggetti diversi, autonomi e personalizzati sono in grado di comunicare tra loro per coordinare il proprio funzionamento, si realizza un ecosistema di prodotti che collaborano in modo intelligente per il raggiungimento di alcuni obiettivi. Gli elettrodomestici di casa potrebbero ad esempio organizzarsi per fare l’uso migliore dell’energia disponibile.

Risulta dunque evidente che l’internet of things porta con sé opportunità di innovazione dei prodotti e dei servizi talmente importanti, che nessuna azienda può permettersi di pensare che non ne sarà coinvolta.

domenica 9 novembre 2014

Che cos'è la strategia?

Questo è il titolo di un articolo di Michael Porter del 2011, che si apre con la frase “operational effectiveness is not strategy”. Porter evidenzia il fatto che negli ultimi anni molte aziende hanno focalizzato i loro sforzi soprattutto sul miglioramento dell’efficacia operativa, cioè sulla capacità di realizzare velocemente ed a basso costo prodotti e servizi di qualità. Questo ha portato finora a significativi miglioramenti del profitto aziendale, così a poco a poco, una serie di best practice, tecniche e strumenti quali l’outsourcing, la lean production ed il total quality management hanno preso il posto e sono stati confusi con la strategia aziendale.
Efficacia operativa e strategia aziendale sono in effetti i due elementi base necessari per la generazione di profitto, ma lavorano in modo opposto. L’efficacia operativa punta massimizzare il profitto riducendo i costi, mentre la strategia ha l’obiettivo di far crescere il profitto aumentando il fatturato, cioè creando maggior valore riconosciuto dal mercato.
La sfida delle aziende giapponesi al mercato occidentale iniziata negli anni ’80 del secolo scorso si è basata essenzialmente sull’efficacia operativa, che non significa soltanto efficienza e riduzione degli sprechi, ma anche miglioramento della qualità e maggior velocità. La focalizzazione sull’efficacia operativa, ha portato però inevitabilmente ad una competizione basata principalmente sul prezzo e quindi a lungo andare ad una riduzione dei margini di profitto di interi segmenti di mercato ed all’impoverimento generale delle imprese. Inoltre ha reso le imprese molto simili tra loro, perché le tecniche che funzionavano per un’organizzazione sono state velocemente replicate nelle altre. Pur essendo necessaria, l’efficacia operativa a lungo andare non è dunque sufficiente a garantire il profitto.
Se l’efficacia operativa consiste nell'eseguire le medesime attività meglio dei concorrenti, la strategia consiste invece nello scegliere deliberatamente attività diverse per fornire ai clienti un mix di valore unico. In tal caso i clienti sceglieranno i nostri prodotti e servizi non soltanto in base al prezzo, ma anche perché attribuiranno loro un valore maggiore.

Esaminiamo un esempio reale. In un mercato maturo come quello del mobile, Ikea ha scelto un segmento di mercato: le coppie giovani, che sono nella fase della vita in cui è più probabile l’acquisto di mobili. Ha quindi identificato il bisogno particolarmente importante per loro di avere mobili di buona qualità ad un prezzo contenuto. Per soddisfare al meglio questo bisogno, ha scelto deliberatamente di non soddisfare altri bisogni, quali la consegna ed il montaggio a domicilio.  
È interessante notare che il posizionamento strategico di Ikea parte da un bisogno pre-esistente (abbastanza ovvio da identificare!) e che la sua unicità non deriva dalla miglior esecuzione di alcune attività che anche i concorrenti eseguono, ma dall’esecuzione di attività diverse. Ad esempio per assicurare la facilità di montaggio, la qualità elevata ed il controllo dei costi, Ikea, al contrario della maggior parte dei propri concorrenti, progetta i propri mobili.
Questa attività è di importanza fondamentale per il posizionamento strategico, ma potrebbe non essere ancora sufficiente. In particolare potrebbe essere copiata dai concorrenti con una certa facilità. Ciò che rende Ikea veramente unica è la combinazione di diverse attività caratteristiche, tutte coerenti tra loro e con il posizionamento strategico desiderato. Ad esempio la scelta di non eseguire attività di trasporto e montaggio verso il domicilio del cliente, richiede una diversa organizzazione dei magazzini, che devono essere gestiti presso i punti vendita. Diventa così possibile anche la consegna immediata dei mobili, che soddisfa un altro bisogno caratteristico del mercato attuale: la fretta.
Analogamente la necessità di semplificare le operazioni di montaggio, spinge verso la progettazione di mobili modulari e questo permette sia di contenere ulteriormente i costi, sia di rendere più agevole lo spostamento dei mobili in una nuova abitazione, evento probabile per una giovane coppia. Si possono identificare numerose attività che si rafforzano a vicenda moltiplicando il valore dell'offerta e che nel complesso rendono Ikea difficilmente imitabile.

La competizione strategica consiste dunque di tre elementi:
  1. l’identificazione di un insieme di bisogni da soddisfare,
  2. l’ideazione di un modo originale di soddisfarli,
  3. l'esecuzione di un insieme coerente di attività aziendali, diverse da quelle normalmente eseguite dai concorrenti.
Soltanto in questo modo è infatti possibile ottenere un posizionamento strategico unico, che risulterà difficilmente imitabile perchè se può essere relativamente facile per i concorrenti copiare alcune attività, risulterà invece molto difficile riuscire a replicare un'intera combinazione di attività coerenti. Il vantaggio competitivo così ottenuto è inoltre sostenibile nel lungo periodo, in quanto basato sulla creazione di valore, piuttosto che sulla sola riduzione dei costi.

domenica 26 ottobre 2014

Lo spirito creativo

Mi è casualmente capitato in mano “Lo spirito creativo” un piccolo libro di Daniel Goleman del 1992. Dopo averlo letto, l’avevo riposto in un ripiano alto della libreria e dimenticato in un angolo nascosto della mia mente.
È un libro molto bello sulla creatività, che viene definita: “la forza che anima la vita e la storia dell’uomo”.

Goleman descrive le diverse fasi della creatività:
  1. Preparazione: è la fase nella quale ci si immerge nella raccolta di informazioni e nella ricerca di una soluzione. Ovviamente quanto più sono accurate, complete ed approfondite le informazioni di cui disponiamo, tanto più probabile sarà trovare idee utili. In questa fase è dunque molto importante la nostra capacità di ascoltare: cioè di raccogliere ed analizzare informazioni senza filtrarle ed interpretarle prima ancora di averle comprese. La fase di preparazione normalmente termina con la frustrazione, che emerge quando la mente analitica raggiunge il limite delle proprie capacità, senza ottenere un risultato soddisfacente.
  2. Incubazione: è la fase nella quale la mente inconscia, se opportunamente ingaggiata, continua a cercare una soluzione mentre la parte conscia della nostra mente si occupa di altro. L’inconscio è molto potente perché è in grado di accedere a molte più conoscenze di quelle che riusciamo a portare a livello conscio ed ha meccanismi di elaborazione delle informazioni più veloci e meno deterministici. In questa fase è utile lasciare la mente libera di fantasticare, superando a volte la nostra stessa sensazione di “perdere tempo”. La nostra mente infatti, quando è controllata ed imbrigliata in pensieri razionali perde la capacità di essere creativa. Diceva Joseph Conrad: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”. La necessità di una fase di incubazione suggerisce l’opportunità di dividere le sessioni di generazioni di idee in due parti, intervallate da alcuni giorni: la prima parte serve per condividere informazioni ed ingaggiare la mente, la seconda parte per raccogliere e generare idee creative.
  3. Illuminazione: improvvisamente dal nostro inconscio emerge l’idea nuova, la soluzione del problema. A questo punto è importante cogliere l’idea e portarla alla luce (cioè a livello conscio) in tutta la ricchezza del momento, altrimenti si rischia di impoverirla, perdendone alcuni elementi.
Un altro punto interessante è la descrizione degli ingredienti della creatività:  
  1. L'esperienza, ovvero la conoscenza (non soltanto concettuale) del contesto in tutte le sue sfumature. Per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi la conoscenza del contesto deve comprendere (in diversi gradi) la conoscenza: degli utilizzatori, dei loro obiettivi, dei processi di utilizzo dei prodotti ed infine delle tecnologie per realizzare i prodotti.
  2. La capacità di pensare in modo creativo, che richiede spesso un approccio “ingenuo” alla realtà (dal latino: in [dentro] e gignere [generare]), capace di superare i luoghi comuni, gli standard e le “scorciatoie” del pensiero, che ci portano sempre verso le stesse conclusioni. La capacità di pensare in modo creativo è innata nell’uomo, ma troppe volte viene soffocata da due killer infallibili: la paura di sbagliare e la fretta, che troppo spesso caratterizzano il clima del nostro ambiente di lavoro, che dovrebbe invece "sostenere" gli sforzi creativi (errori inclusi!).
  3. La passione: la creatività ha bisogno di un grande contributo da parte della mente inconscia, che può essere ingaggiata soltanto con una forte motivazione intrinseca, cioè con il piacere di compiere certe attività. Le motivazioni esterne (quali premi e punizioni) non sono infatti sufficienti a generare il coinvolgimento completo di tutto l’individuo e quindi ad attivare la creatività.
E' dunque chiaro che la creatività richiede competenze e processi, che a volte sono abbastanza diversi da quelli che troviamo nelle nostre imprese. In questi casi una trasformazione è necessaria, perchè la creatività è un elemento base per la competizione nel mercato attuale.

domenica 12 ottobre 2014

Il funnel dell'innovazione: la selezione delle idee

La selezione delle idee è la prima (vera) fase del funnel dell’innovazione dopo la nuvola delle idee ed ha l’obiettivo di identificare le idee per le quali avviare la fase di Analisi di fattibilità. La selezione delle idee fa evolvere le idee dallo stato di “Sogno” allo stato di “Ipotesi”.

La capacità di selezionare le idee vincenti è fondamentale per il successo di ogni impresa. Poiché normalmente in questa fase di sviluppo le idee non sono completamente definite e la conoscenza del mercato è limitata, è necessario essere in grado di prendere le decisioni giuste sulla base di informazioni insufficienti ed incerte. La selezione delle idee si deve dunque basare su decisioni intuitive, che comportano inevitabilmente il rischio di errori.

Per aumentare la probabilità di prendere le decisioni giuste è dunque utile:
  • Coinvolgere le persone giuste, che possano contribuire alla decisione con esperienza, sensibilità ed intuito,
  •  Condividere i criteri di selezione,
  • Raccogliere e valutare la maggior quantità di informazioni ragionevole.
In un’azienda sana il numero di idee di nuovi prodotti e servizi è normalmente elevato: non esistono regole fisse, ma un rapporto di 50:1 tra idee e prodotti è normale in molti settori. Per questo motivo il processo di selezione, deve essere in grado di gestire efficacemente molte idee in ingresso. È dunque conveniente prevedere una serie di filtri successivi, che permettano di selezionare le idee sulla base di informazioni progressivamente più dettagliate.



Il primo filtro deve semplicemente permettere una rapida identificazione delle idee da sottoporre ad un’analisi più approfondita. Un metodo efficace per eseguire questa prima selezione è quello di presentare velocemente le idee al team dei decisori e poi chiedere a ciascuno di selezionare un piccolo numero di idee (da 2 a 5) sulle quali “punterebbe”, se dovesse scommettere sulle idee vincenti. Le idee che ricevono almeno un voto passano alla fase successiva, le altre restano in attesa. Questo metodo è puramente intuitivo ed abbastanza grossolano, ma permette di gestire velocemente un gran numero di idee. Il rischio maggiore in questa fase è quello di non selezionare idee buone, che però non vengono scartate, ma restano in attesa e potrebbero essere selezionate in seguito.

Le idee selezionate vengono nuovamente discusse nel team dei decisori e valutate considerando tre diverse dimensioni: l’importanza strategica, la probabilità di successo e l’importanza economica. È possibile dunque costruire una mappa delle idee suddivisa in quattro quadranti, simile a quella disegnata nella figura sottostante.


Il significato di ogni quadrante è evidente, mentre la dimensione delle “bolle” rappresenta l’importanza economica stimata per le idee. Questa mappa non intende definire quali idee selezionare: il suo scopo è quello di aiutare il team dei decisori, che dovrebbero infatti “preferire” le Perle, escludere le Zavorre e completare il bilanciamento del portafoglio con alcune Sfide ed alcune Opportunità.

Le idee selezionate meritano un ulteriore approfondimento. Per ogni idea viene dunque preparato un breve documento (Idea brief), che contiene la descrizione dell’idea, alcune considerazioni sul mercato di riferimento, sulla value proposition, sul canale di vendita, sui concorrenti e sui principali ostacoli e rischi che potrebbero causare il fallimento del progetto. Viene inoltre fatta una prima stima degli investimenti necessari e dei profitti potenziali. Normalmente in questa fase non è conveniente effettuare approfondimenti particolarmente impegnativi, perché le probabilità che l’idea venga scartata sono ancora alte.
Il team di decisori può ora preparare una valutazione sintetica di ogni idea considerando ad esempio i punti rappresentati nella figura sottostante ed assegnando un valore (verde, giallo, rosso) per ognuno di essi.


Sulla base del lavoro svolto, è ora possibile selezionare le idee che entreranno nella fase di "Analisi di fattibilità", nella quale verranno arricchite con ulteriori informazioni e valutate in modo più analitico per decidere l’eventuale avvio del progetto vero e proprio.

domenica 28 settembre 2014

Il funnel dell'innovazione: la fase del sogno

La prima fase dell’innovazione può essere chiamata la fase del “sogno”. Nei sogni tutto può accadere: non ci sono limiti, né budget, né piani da rispettare. 
In questa fase si generano nuove idee e si lavora con idee “grezze”, senza preoccuparsi troppo dei dettagli e della realizzabilità delle idee stesse.

 Poiché è troppo presto per valutare se un’idea è “buona” o meno, in questa fase è importante soprattutto avere un gran numero di idee. Per questo motivo spesso non è sufficiente “raccogliere” le idee che nascono spontaneamente, ma è necessario “coltivare” nuove idee.

La “coltivazione” delle idee richiede azioni specifiche quali l’esecuzione di una o più sessioni di generazione di idee o il lancio di una campagna di idee, che può ad esempio concretizzarsi in un’idea contest, nel quale si chiede a persone esterne all’azienda di proporre idee a fronte di un premio per l’idea migliore (si veda ad esempio il sito www.desall.com).

Le sessioni di generazione di idee sono strumenti molto potenti, che permettono di ottenere velocemente un gran numero di idee. Le idee però non sono come i prodotti che escono tutti uguali e con un ritmo costante da una linea produttiva. Sono piuttosto simili a fiori, che sbocciano quando si realizzano alcune condizioni favorevoli e sono tutti diversi tra loro. Le sessioni di generazione di idee hanno dunque l’obiettivo di creare e sostenere le condizioni favorevoli alla generazione di idee. Per fare questo devono essere armonizzati 4 fattori principali, che determinano il risultato finale, come mostrato nella figura seguente.


Il primo fattore è il coinvolgimento delle persone giuste. La generazione di idee richiede infatti ai partecipanti 3 caratteristiche personali importanti: la creatività, l’entusiasmo e la capacità di gestire l’incertezza fisiologica nelle prime fasi del processo di innovazione. Inoltre più il team di generazione di idee è formato da persone con culture e competenze diverse, maggiore è la probabilità di generare idee di innovazione disruptive. Al contrario, un team formato da persone molto simili tra loro porterà probabilmente ad innovazioni incrementali dei prodotti e servizi esistenti.

Il secondo fattore necessario per la generazione di idee è la definizione dell’obiettivo da raggiungere, che generalmente è legato agli obiettivi strategici dell’impresa. La definizione di un obiettivo permette infatti di orientare l’intero processo di generazione delle idee, indicando ai partecipanti una direzione preferenziale. Obiettivi definiti in modo molto specifico porteranno alla generazione di idee molto focalizzate, tra le quali sarà meno probabile trovare idee per innovazioni di tipo disruptive. Obiettivi definiti in modo più generale porteranno invece ad idee molto diverse tra loro, facendo crescere la probabilità di trovare innovazioni di tipo disruptive.

Il terzo ingrediente è la disponibilità di informazioni che possano stimolare la generazione di nuove idee, creando nuovi collegamenti tra idee esistenti. Spesso la condivisione di informazioni tra i partecipanti è proprio il modo di iniziare una sessione di generazione di idee. Anche in questo caso: informazioni molto focalizzate stimoleranno la generazione di idee di innovazione su un tema specifico, mentre la disponibilità di informazioni molto varie stimolerà la generazione di idee molto diverse tra loro.

L’ultimo elemento che favorisce la generazione di idee sono le tecniche di generazione di idee. Ci sono più di 300 tecniche di generazione di idee, che vanno dal brainstorming al TRIZ. I diversi metodi vanno selezionati in base ai partecipanti ed all’obiettivo da raggiungere. Metodi molto “guidati” (ad es. TRIZ) sono particolarmente adatti in contesti omogenei e con obiettivi ben definiti, mentre metodi poco guidati (ad es. brainstorming) funzionano meglio quando l'ambiente non è omogeneo e gli obiettivi non sono troppo specifici. In questi casi aumenta anche la probabilità di generare idee disruptive.


È evidente che soltanto poche idee tra quelle generate durante una sessione di idea generation diventeranno prodotti, ma partire da una ampia base di idee, permette di aumentare la probabilità di successo dei prodotti e servizi che verranno lanciati. Nel prossimo post parleremo quindi di come selezionare le idee per identificare quelle vincenti.

sabato 13 settembre 2014

Il funnel dell'innovazione

Senza fiducia non c’è innovazione. 
Innovare significa infatti investire (e rischiare) per migliorare lo status quo. Il clima di generale pessimismo e sfiducia, così diffuso in questi ultimi tempi, spegne l'entusiasmo, rallenta l’innovazione e la crescita, generando così ulteriore sfiducia ed innescando una spirale negativa che paralizza le imprese.

È dunque necessario (ri)trovare il coraggio di innovare.

Le imprese in particolare devono innovare sistematicamente il proprio portafoglio di prodotti e servizi. Il punto di partenza è dunque un processo di innovazione che garantisca:
  • massima probabilità di successo del prodotto sviluppato,
  • minima durata (time-to-market),
  • minimi costi e investimenti.
Il  processo di innovazione di prodotto ha almeno tre caratteristiche importanti, che lo rendono  diverso dagli altri processi aziendali:
  • Decision-intensive: lo sviluppo di un prodotto richiede moltissime decisioni, anche complesse e che spesso devono essere prese sulla base di dati incerti o insufficienti e con poco tempo a disposizione. Un’ulteriore complicazione nasce dal fatto che gli effetti di tali decisioni non si manifestano immediatamente, ma dopo un periodo di tempo lungo (tipicamente dopo il lancio del prodotto sul mercato) e concatenati in modo indistricabile con gli effetti di altre decisioni.
  • Non codificabile: il processo di sviluppo dei nuovi prodotti, dovendo realizzare ogni volta qualcosa di nuovo, non può essere sempre uguale a se stesso e pertanto non può venire codificato con regole precise ed immutabili.
  • Interfunzionale: per sviluppare un nuovo prodotto è necessario coinvolgere persone appartenenti a funzioni diverse e quindi con culture e caratteristiche diverse e che devono collaborare in un processo complesso, rischioso e non codificato.
Il processo di innovazione potrebbe dunque essere rappresentato da un uragano non governabile, come nella figura seguente.

Dopo l’intuizione di Barry Boehm del 1986 (relativa per la precisione allo sviluppo del software), il processo di sviluppo di un nuovo prodotto viene spesso rappresentato come una spirale, che parte da un’idea e procede ripetendo ciclicamente le stesse attività (ideare, definire, verificare) con un livello di dettaglio maggiore e di incertezza minore, fino alla completa definizione del prodotto e del suo processo produttivo. Comprendere l'andamento a spirale del processo di sviluppo, permette di ottimizzare i diversi livelli di dettaglio delle decisioni da prendere e di ridurre l'impatto delle modifiche (tempi e costi).



Un'evoluzione di questa rappresentazione, che rende più evidente lo scorrere lineare del tempo, è quella che vede il processo di innovazione come un imbuto (in inglese: funnel) nel quale entrano molte idee ed escono alcuni prodotti.
Il funnel può essere suddiviso in fasi, separate da momenti di decisione (si veda ad esempio il libro: Winning at new products di Robert Cooper). Definire in questo modo il processo di innovazione permette di:
  • armonizzare l'intero processo, a partire dalle idee,
  • identificare i diversi livelli di dettaglio e di incertezza dell'innovazione (le fasi),
  • evidenziare le decisioni chiave (i gate),
  • focalizzarsi sugli obiettivi da raggiungere e le decisioni da prendere, anzichè su regole e procedure,
  • identificare un modello comune per lo sviluppo di diversi prodotti,
  • condividere e rendere evidente lo stato dei diversi progetti in corso di sviluppo.

La figura successiva rappresenta un esempio di funnel che può essere considerato un punto di partenza per la definizione del processo di sviluppo in molte aziende manifatturiere.



Nei prossimi post faremo alcune considerazioni sui quattro stadi attraverso i quali si sviluppa la parte iniziale del ciclo di vita di ogni prodotto:
  • sogno,
  • ipotesi,
  • target,
  • realizzazione.


domenica 13 luglio 2014

Il prodotto liquido - 3

I liquidi spesso si mescolano tra loro formando soluzioni, nelle quali i composti originali non sono più distinguibili. Analogamente i prodotti del mondo liquido dovrebbero potersi combinare e ricombinare in modo aperto con altri prodotti per soddisfare nuovi bisogni e desideri degli utilizzatori. In questo caso il prodotto viene pensato come un insieme di possibilità, piuttosto che come una soluzione univocamente determinata.
Dalla combinazione di prodotti diversi può nascere infatti molto valore. Un esempio evidente è lo smartphone, che costituisce l’elemento fondamentale di un’ecosistema di prodotti e servizi forniti da aziende diverse. Oltre alle diverse infrastrutture (3G, wi-fi, bluetooth, …) che gli permettono di comunicare, vi sono prodotti complementari, quali ad esempio le cover ed i carica-batterie, ma soprattutto le app, che traggono valore da questo ecosistema e contemporaneamente contribuiscono a creare valore per gli altri attori. Senza app, probabilmente gli smartphone non sarebbero così diffusi ed infatti le aziende che non sono state pronte ad “aprire” i loro prodotti a collaborazioni esterne (vedi Nokia e Blackberry) hanno perso velocemente quote di mercato.
I prodotti dell’era post-moderna dovrebbero essere quindi pensati come “piattaforme”, attraverso le quali diversi attori possano contribuire a creare valore. Alcuni esempi di aziende che stanno utilizzando i loro prodotti per creare ecosistemi aperti sono Nike Fuel Lab, OSVehicle e Arduino.

Un altro elemento che caratterizza i liquidi è la loro capacità di adattarsi ai recipienti che li contengono. Allo stesso modo i prodotti liquidi dovranno essere personalizzabili. La personalizzazione risponde infatti ad alcuni bisogni fondamentali del mondo moderno: 
  • la necessità di utilizzare i prodotti in modo specialistico per massimizzarne le prestazioni in un periodo di competizione estrema,
  • il bisogno di riconoscersi negli oggetti che ci circondano per ridurre l’incertezza dovuta all’assenza di punti fermi,
  • il desiderio di esprimere se stessi, anche mediante l’utilizzo di prodotti esclusivi.

La personalizzazione di un prodotto può realizzarsi a diversi livelli, ma spesso il suo abilitatore principale è l’utilizzo di un’architettura di prodotto modulare, unita ad un processo di configurazione che coinvolga gli utilizzatori migliorandone la “product experience” complessiva.

L’ultimo elemento che caratterizza il prodotto liquido (sul quale però non mi soffermerò in quanto già abbondantemente descritto da molti) è la sostenibilità. Se la vita media dei prodotti è sempre più breve, è allora evidente che è necessario ridurre l’impatto ambientale della loro produzione e riciclo.

Possiamo quindi completare l'elenco delle caratteristiche del prodotto liquido aggiungendo:
  • Possibilità di combinarsi con altri prodotti (piattaforme)
  • Personalizzabilità
  • Sostenibilità.

domenica 29 giugno 2014

Il prodotto liquido - 2

Nel mondo liquido l’incertezza sul futuro e l’ampiezza dell’offerta rendono le decisioni d’acquisto sempre più complesse, mentre i potenziali clienti hanno sempre più fretta e sono sempre meno disposti ad investire il proprio tempo e le proprie energie in decisioni difficili.
Si può allora conseguire un importante vantaggio competitivo semplificando il processo di scelta che conduce alla decisione d’acquisto. Per ottenere questo risultato è necessario:
  • diversificare la propria offerta di prodotti e servizi,
  •  comunicare in maniera chiara il valore fornito al cliente (value proposition),
  •  mettere il cliente in condizione di fidarsi del fornitore costruendo una relazione che precede il processo di vendita (la percezione del brand è ad esempio una prima relazione debole tra azienda e consumatore),
  •  ridurre al minimo la quantità di aspetti irrevocabili della scelta (ad esempio minimizzare l’investimento iniziale richiesto e permettere modifiche/aggiustamenti successivi alla scelta effettuata).

Un'altra caratteristica del mondo liquido è l’attenzione all’immediato (nowism), che porta i clienti alla ricerca della soddisfazione istantanea dei propri bisogni e desideri. Poiché uno dei bisogni fondamentali dell’uomo è quello di essere felice, vi è una continua ricerca della gratificazione immediata. Questo bisogno può essere soddisfatto molto meglio se si sposta l’attenzione dal prodotto alla sua esperienza di utilizzo. È infatti evidente che non sono i prodotti a rendere felici le persone, ma le esperienze: non è il pallone (prodotto), ma la partita di calcio (esperienza), che può rendere felice una persona. I prodotti devono quindi essere pensati per essere abilitatori di esperienze memorabili, altrimenti nel mondo liquido verranno confusi con altri prodotti simili e considerati quindi irrilevanti. Le aziende manifatturiere dovrebbero dunque immaginarsi più come “experience curators”, che come “product makers”, come dice Tim Brown nel suo libro “Change by Design”.

Un altro aspetto importante del nowism è che i prodotti dovrebbero essere semplici e piacevoli da utilizzare e sempre disponibili sin dal momento dell’acquisto. L’utilizzatore ha infatti sempre meno energie da dedicare ad installare, imparare ad utilizzare e manutenere i prodotti che lo circondano.
Il prodotto ideale avrà dunque caratteristiche di tipo plug-and-play e sarà in grado di guidare il cliente sin dai primi momenti di utilizzo, apprendendo autonomamente come adattarsi alle esigenze dell’utilizzatore. Stiamo dunque parlando di prodotti intelligenti, probabilmente collegati ad internet e che potranno utilizzare algoritmi di calcolo sofisticati per prendere (o suggerire) decisioni complesse sulla base delle scelte precedenti e del contesto attuale, senza che questo richieda alcuna operazione da parte dell’utilizzatore. Questi prodotti avranno inoltre un’autodiagnostica molto affidabile (in grado di prevenire la maggior parte dei guasti) e spesso sarà prevista la disponibilità di un prodotto sostitutivo in caso non disponibilità del prodotto originale.

Possiamo quindi aggiungere (alla lista del post precedente) le seguenti 3 caratteristiche dei prodotti liquidi:
  • Decisioni d’acquisto semplificate
  •  Esperienze, non prodotti
  • Plug and play intelligente
Nel prossimo post esploreremo ulteriori caratteristiche del prodotto liquido.

giovedì 12 giugno 2014

Il prodotto liquido - 1

“Interruzione, incoerenza, sorpresa sono le normali condizioni della nostra vita. Sono diventate dei bisogni reali per tante persone le cui menti non sono più nutrite da nient’altro che da mutamenti repentini e sempre nuovi stimoli. Non riusciamo a sopportare più nulla che duri.”

Con questa frase di Paul Valery si apre il libro “Modernità Liquida” di Zygmunt Bauman.
Bauman nota che i solidi occupano uno spazio definito e sono stabili nel tempo, mentre i liquidi non occupano uno spazio proprio, ma si modificano istante per istante adeguandosi allo spazio esterno che li circonda. Analogamente egli sostiene che la nostra società ed il nostro esistere nell’era post-moderna si sono fatti liquidi.
Se i nostri genitori si muovevano infatti all’interno di principi, confini e valori solidi, noi viviamo invece immersi in un mondo liquido in continua trasformazione, senza più punti di riferimento stabili. Le cause di questo fenomeno sono molteplici, così come le conseguenze psicologiche e sociologiche (per approfondire consiglio tra i tanti. Modernità Liquida e Vita Liquida di Bauman, “La società dello spettacolo” di Guy Debord e le opere di Mark Granovetter, in particolare gli articoli: "The strenght of weak ties” e The problem of Embeddeness”).

Proviamo a riflettere su che cosa comporta il fenomeno della modernità liquida per le aziende manifatturiere.
Per prima cosa viene messo in discussione il concetto di “durata” dei prodotti: mentre una volta si privilegiavano i prodotti che avrebbero potuto durare per molti anni, oggi l’orizzonte temporale che si considera al momento dell’acquisto è molto più limitato. Il futuro è incerto e l’evoluzione tecnologica è così veloce, che un prodotto che duri a lungo può spaventare piuttosto che tranquillizzare. Molti clienti preferiscono infatti riservarsi la possibilità di cambiare prodotto dopo un tempo relativamente breve.
Questo conduce ad una serie di scenari nuovi per le aziende manifatturiere: la breve durata del ciclo di vita di un prodotto si traduce infatti in un investimento iniziale basso da parte del cliente e sempre minor tempo a disposizione per la scelta, l’apprendimento e la messa in funzione del prodotto.
Una delle prime risposte a questa esigenza è stata la modifica dei contratti d’acquisto: viene chiesto un anticipo relativamente piccolo, si paga a rate ed al momento della vendita viene definito un patto di riacquisto, rendendo la transazione di fatto molto simile ad un “pay per use”.
Questa modalità ha molti vantaggi, ma richiede l’interazione con un partner finanziario e non risolve il problema di che cosa fare dei prodotti una volta che verranno restituiti.

Un’altra possibile soluzione è quella di realizzare prodotti che possano cambiare nel tempo. Per ottenere questo è necessario progettare prodotti con architettura modulare (tipo “Lego”), nei quali possano essere sostituiti i singoli componenti senza dover riacquistare l’intero prodotto. Parliamo ad esempio di apparecchi elettronici ai quali sia previsto di poter sostituire le unità di memoria o di cucine alle quali possano essere cambiate le ante quando si voglia rinnovarne l’aspetto estetico, ma potremmo anche parlare di automobili alle quali si possa facilmente cambiare il motore, di divani che possano essere modificati con l’aggiunta o l’eliminazione di alcuni moduli o di altre applicazioni dell’architettura modulare non ancora esplorate.

È anche possibile sviluppare prodotti che possono essere aggiornati periodicamente. La pervasività dell’elettronica e del software rendono infatti spesso conveniente l’aggiornamento dei prodotti: come siamo abituati ad aggiornare il sistema operativo del telefonino, potremmo aggiornare anche il software che gestisce la nostra caldaia o il rasaerba, che acquisiranno nuovi comportamenti e funzionalità.

Si dovrebbero inoltre pensare prodotti che siano modificabili in tempo reale dall'utilizzatore. Ad esempio l’organizzazione dello spazio interno dei mobili potrebbe essere facilmente adattabile alle esigenze attuali dell'utilizzatore (ad es. estate o inverno) oppure la luce emessa da una lampada a led potrebbe essere regolata in intensità e tonalità a seconda dell’umore dell’utilizzatore.

La velocità dell’evoluzione, richiede anche una diversa suddivisione degli investimenti per lo sviluppo dei nuovi prodotti: le aziende spesso non possono sostenere l’onere ed il rischio di grossi investimenti con lunghi periodi per il raggiungimento del break-even. Risulta allora sempre più spesso conveniente lanciare sul mercato prodotti non ancora completamente sviluppati, ma già in grado di soddisfare un set minimo di esigenze (si veda minimum viable product). In questo caso, oltre a ridurre l’investimento iniziale necessario, si ottiene il vantaggio di essere “guidati” nello sviluppo del prodotto da esigenze di clienti reali.

Ecco in sintesi le prime 4 caratteristiche del prodotto liquido:
  • Architettura modulare
  • Aggiornabile (upgradable)
  • Modificabile in tempo reale dall'utilizzatore
  • In continua evoluzione (a partire dal minimum viable product)
Il “prodotto liquido” ha altre importanti caratteristiche, che esploreremo nei prossimi post.

domenica 6 aprile 2014

Creare valore attraverso i prodotti

Con la saturazione di molti mercati e l’aumento della competizione, le aziende devono spesso combattere una dura lotta sul prezzo. Per non impoverirsi è dunque necessario che siano in grado di ideare prodotti e servizi che possano giustificare un valore percepito (ed un prezzo) maggiore rispetto a quello dei concorrenti più economici.
Gli elementi che possono concorrere alla creazione del valore di un prodotto sono molteplici e devono essere considerati sin dalla fase di ideazione. Trascurarne alcuni significa trascurare alcune opportunità per realizzare dei margini di profitto maggiori.
La figura sottostante riassume i principali elementi che contribuiscono a formare il valore percepito di un prodotto. Per comodità di rappresentazione essi sono rappresentati sotto forma di albero, pur tenendo conto che le relazioni multiple tra i diversi elementi costituiscono una rete, piuttosto che una vera struttura gerarchica.



Gli elementi più evidenti che il cliente utilizza per assegnare valore ai prodotti sono le funzioni e le relative prestazioni: maggiore è la sovrapposizione tra le funzioni svolte ed i bisogni del cliente, tanto maggiore sarà il valore percepito del prodotto. Altrettanto importanti sono la facilità d’uso e la sicurezza nell’utilizzo.

In questo periodo di cambiamenti tumultuosi ed imprevedibili, la flessibilità ha un grande valore. I prodotti modulari hanno dunque un valore in più, poiché sono scalabili e possono adeguarsi con relativa facilità a nuovi scenari, riducendo per il cliente la necessità di pianificazioni ed investimenti di lungo periodo.

Tutti noi consciamente o inconsciamente attribuiamo un grande valore alle emozioni suscitate dai prodotti: basta pensare a quanto in più siamo disposti a pagare un prodotto che “ci piace”. Il valore emozionale varia ovviamente a seconda del tipo di prodotto, ma per tutti i prodotti sono importanti almeno le seguenti emozioni: la bellezza estetica, la gradevolezza nell’utilizzo e l’effetto novità (particolarmente importante nei mercati saturi, nei quali si acquista per sostituzione). Un ulteriore aspetto emozionale che crea valore per il cliente è l’esclusività del prodotto, che rafforza ed esprime il valore che ognuno di noi attribuisce alla propria individualità.

Ogni volta che entriamo in contatto con un prodotto, la nostra mente lo collega ad informazioni e concetti precedentemente assimilati. Al prodotto vengono quindi trasferiti automaticamente significati simbolici che fanno parte del nostro passato personale e sociale. Il prodotto acquista quindi un valore simbolico che ci permette di collocarlo all’interno della nostra rappresentazione del mondo, della società e di noi stessi. Ad esempio un vestito elegante non è probabilmente comodo da indossare, ma ci permette di rappresentare noi stessi secondo un certo modello culturale.

Vi è poi un’altra serie di elementi oggettivi che contribuiscono al valore del prodotto e che si possono riassumere nel concetto di qualità: materiali, finiture, cura nella realizzazione, affidabilità e durata, certificazioni, ...

Vi sono poi una serie di elementi che non fanno parte del prodotto, ma che contribuiscono a definirne il valore. Collegati ad ogni prodotto vi sono infatti alcuni servizi, che ne aumentano il valore (ad es. consegna e garanzia). La complessità dei prodotti permette spesso al produttore di offrire anche altri servizi ad alta intensità di conoscenza ad es. la consulenza di pre-vendita, l’installazione, il training e l’assistenza post-vendita, che permettono all’utilizzatore di fare un utilizzo ottimale dei prodotti acquistati.

Un ulteriore elemento che concorre a determinare il al valore del prodotto è il marchio, che rappresenta in modo sintetico il sogno ed i valori etici che il produttore intende trasferire al prodotto. Il marchio è inoltre un importante elemento per valutare l’affidabilità delle “promesse” che ogni prodotto fa ai potenziali acquirenti.

Bisogna infine considerare il valore della relazione con il cliente, che permette di ridurre i rischi dell’acquirente in fase di acquisto e che consente un maggiore scambio di informazioni durante il periodo di utilizzo del prodotto stesso.

Per ideare un prodotto vincente non è dunque sufficiente limitarsi a considerare gli aspetti legati alle funzionalità e prestazioni del prodotto. Tutti gli elementi descritti devono essere integrati, armonizzati e comunicati nell’offerta al cliente.

domenica 26 gennaio 2014

L'era dell'innovazione

Il cambiamento è sempre stato una caratteristica della vita dell’uomo. Un tempo però i cambiamenti erano molto più lenti, a volte talmente lenti da non essere neppure percepiti nel corso della vita di una persona. Oggi invece i cambiamenti sono così veloci da richiedere un continuo adattamento da parte dell’uomo e delle organizzazioni, incluse le imprese. L’innovazione oggi è talmente veloce e pervasiva, da diventare uno dei fattori caratterizzanti del nostro tempo: possiamo dunque dire che siamo entrati nell’era dell’innovazione.

Quali sono le principali caratteristiche che distinguono l’era dell’innovazione da tutti i periodi precedenti della storia dell’uomo?
Alla base dell’era dell’innovazione c’è un’elevata capacità di produrre e trasportare beni, unita ad un’elevata capacità di viaggiare e comunicare. Tutto questo sta generando una serie di effetti, che le aziende devono essere in grado di comprendere ed interpretare per poter immaginare il proprio futuro.

È evidente che la capacità di produrre non è oggi più limitata ai paesi interessati dalla prima rivoluzione industriale, ma si è diffusa e continuerà a diffondersi velocemente verso alcuni paesi a basso costo (uno per tutti: la Cina). Questo ha causato un calo dei profitti e l’aumento della disoccupazione nei paesi “sviluppati” (in particolare per i lavoratori manuali) ed ha invece portato un maggior benessere nei paesi “neo-industrializzati”, che oggi sono diventati mercati di riferimento importanti.

Lo sviluppo della possibilità di comunicare istantaneamente con chiunque nel mondo (dal telegrafo ad internet) ha invece moltiplicato le opportunità di confronto e di diffusione delle idee, fornendo un enorme impulso alla crescita della conoscenza in tutti i settori. Il confronto tra persone appartenenti a culture diverse ha inoltre messo in crisi i valori tradizionali delle diverse comunità umane, lasciando molte persone “prive di riferimenti” (come accade ai membri delle tribù isolate che entrano per la prima volta in contatto con la cosiddetta “civiltà”).

L’era dell’innovazione è infine caratterizzata dalla fine della bolla finanziaria e dalla consapevolezza che lo sviluppo non potrà estendersi illimitatamente. Il tutto viene ulteriormente complicato, dall’assenza di modelli di riferimento e quindi dall’incertezza e dall’incapacità di prevedere quale sarà il futuro.

Ecco alcuni elementi chiave verso i quali le imprese devono orientarsi per avere successo nell’era dell’innovazione:
  • Sostenibilità: la crescita sostenibile è infatti l’unica possibile per non raggiungere velocemente i limiti delle risorse naturali disponibili,
  • Innovazione continua: nell’era dell’innovazione l’evoluzione è talmente veloce che per continuare ad essere competitivi sul mercato è necessaria l’innovazione continua dei prodotti e dei servizi,
  • Analisi dei bisogni globale: il mercato è globale e per ideare prodotti di successo non è più sufficiente basarsi sui bisogni dei clienti europei o americani,
  • Nicchie: le imprese devono sviluppare offerte specializzate per nicchie di mercato, che sono a loro volta sono in continua e veloce evoluzione,
  • Nuovi modelli di business: con l’aumento della concorrenza e della complessità tecnologica, il semplice scambio “prodotto in cambio di denaro” non è più sufficiente per garantire alle imprese un profitto adeguato e persistente. Le imprese dovranno quindi imparare a generare profitto utilizzando modelli di business innovativi, che potranno comprendere relazioni emozionali con i clienti, flussi di informazioni, erogazione di servizi ed altri meccanismi innovativi per la creazione di valore.